
Una delle letture di questo tempo che più colpisce chi celebra la liturgia delle ore è senza dubbio quella tratta dai Discorsi di San Bernardo. Il monaco di Chiaravalle, in una delle sue riflessioni sull’Avvento, spiega che conosciamo una triplice venuta del Signore. Se il primo avvento è quello accaduto nella debolezza della carne, e l’ultimo avvento sarà quello del giorno del giudizio, l’abate Bernardo rivela l’esistenza di un “avvento intermedio”: «una venuta occulta, infatti, si colloca tra le altre due che sono manifeste». Il padre della Chiesa spiega poi dettagliatamente: «Questa venuta intermedia è una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione». L’Avvento intermedio, secondo Bernardo, è un tempo interiore in cui «solo gli eletti vedono il Signore entro se stessi, e le loro anime ne sono salvate». La parentesi che stiamo vivendo è un tempo particolarmente esigente per l’umanità, l’epidemia da Covid-19 sta alterando il nostro alfabeto relazionale. Se è vero che anche oggi si sta compiendo l’Avvento intermedio del Signore, allora come possiamo coglierlo? Dove ci viene disvelata la sua presenza? Martedì scorso, durante la preghiera del Rosario nel cortile antistante il reparto Covid, mentre l’arcivescovo Morosini andava dirigendosi verso il luogo della celebrazione, un’infermiera - schermata da tutti i dispositivi di sicurezza in uso da chi è a contatto con i malati di SarsCov2 - ci raccontava quale calvario sta compiendosi all’interno di quel reparto. Impossibile riconoscere il volto di quella donna, celato dal cappuccio della tuta, dalla mascherina e dallo schermo protettivo... si vedevano però le rughe, tanti anni di servizio, più di 35, spesi a favore del servizio sanitario, degli ammalati, di coloro che avevano contratto un Virus. «Pensavo di aver visto la cosa peggiore quando mi capitava di assistere un ammalato di Aids. L’Hiv è lancinante ed era, fino a questa epidemia, lo scenario peggiore in cui un operatore sanitario di malattie infettive si potesse trovare ad operare. Ma adesso non più, questo Coronavirus ci ha sconvolti, facciamo fatica a non perdere la forza, la speranza...è indescrivibile la sofferenza che vediamo ogni giorno davanti ai nostri occhi». Sarà un Natale difficile, le abbiamo chiesto alla fine del suo sfogo. «Sarà un Natale diverso» è stata la sua risposta. Diverso in cosa? «Quest’anno non farò nulla, neanche l’albero e gli addobbi, nulla. Io verrò a lavorare tutti i giorni, perché quest’anno il mio Natale sarà qui in reparto: in ogni letto c’è Gesù che nasce, in ogni malato posso vedere il Signore che mi chiama a servirlo, ogni stanza di questo padiglione è come se fosse la grotta di Betlemme, dunque perché andare a cercare il Natale nelle decorazioni profane? Qui ho tutto». Le vibranti parole di questa infermiera sessantenne, affacciata da una finestrella del reparto Covid, ci consegnano un esempio di Avvento intermedio. Sarà un Natale diverso, senza dubbio “limato” sia nelle celebrazioni che negli affetti. Però che Natale profondo sarà quello di chi avrà gli occhi per vedere la nascita del Messia in un modo rinchiuso dalla paura della sofferenza.