Avvenire di Calabria

La psicologa Giusy Zinnarello crede che il Covid abbia portato ad amplificare le disuguaglianze pre-esistenti: a farne le spese sono soprattutto le donne

Parità di genere oltre la crisi, «siate resilienti»

Giusy Zinnarello *

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La pandemia da Covid-19 ha sicuramente amplificato tutte le vulnerabilità e le disuguaglianze preesistenti e rischia di vanificare, almeno in parte, i passi avanti degli ultimi decenni sul fronte della parità di genere. Sembrerebbe che le prime vittime di questa regressione siano proprio le donne. I recenti dati Istat dicono che dopo il recupero dell’occupazione italiana fatto registrare a partire dall’estate, con la fine del primo lockdown, dall’autunno la situazione è tornata a peggiorare a causa della seconda ondata e delle nuove chiusure. A dicembre gli occupati sono diminuiti di 101mila unità, ma si è trattato di un crollo per la maggior parte femminile, con 99mila donne che sono finite disoccupate o inattive. Le donne hanno visto in questo 2020 aumentare il loro carico di lavoro domestico che si è sovrapposto allo smart working, senza più la possibilità di una separazione spaziale degli stessi. Con la chiusura delle scuole, molte donne si sono ritrovate ad assistere i figli nella didattica a distanza, spesso più figli e quindi più dispositivi, quali pc e tablet, da gestire contemporaneamente. L’impossibilità di ricorrere ad aiuti esterni, ha fatto gravare sulle donne anche la cura degli anziani, dei malati e delle persone con disabilità presenti in famiglia. Una presa in carico della cura degli altri totalizzante, senza la rete di supporto della famiglia allargata, senza quei “detonatori” dello stress, come passeggiate, sport, tempi e spazi di socializzazione, che sono necessari per il benessere e la cura personale. A tutto questo dobbiamo aggiungere quella che è stata già definita come una pandemia nella pandemia: la violenza domestica che è aumentata in modo considerevole durante il primo lockdown. Le donne hanno pagato un prezzo molto alto durante questa pandemia che sta lasciando segni profondi sulla psiche, rischiando di compromettere anche a lungo termine la loro salute mentale. Per questo occorre agire tempestivamente. Il primo appello va rivolto alla politica: le donne vanno ascoltate e le loro istanze devono essere considerate e tutelate, dal momento che anche nel post pandemia saranno le più esposte al rischio di perdere il lavoro. Sono necessarie azioni di governo che promuovano la partecipazione lavorativa e sociale delle donne e che si impegnino a combattere le disuguaglianze preesistenti al virus. Il secondo appello è rivolto alle stesse donne, sovraccariche di lavoro, più sole e stressate, ma attive protagoniste nel processo della propria affermazione. Il post-pandemia dipende dall’investimento sul presente, da quella infinita pazienza di ricominciare che è una risorsa di ogni essere umano ma che trova nelle donne la sua espressione più generativa. Abbiamo assistito già a numerose storie di riscatto: donne che hanno perso il lavoro e che si sono reinventate un mestiere attingendo alle loro vocazioni più profonde ed altre che hanno creato reti solidali di mutuo-aiuto per la gestione dei figli. La speranza sale sempre dal basso come spinta ad opporsi alle difficoltà, proprio là dove il peso delle situazioni negative cresce: una ostinata scelta della direzione contraria capace di ribaltare tutto con creatività. Abbé Pierre scrive: «Vogliate ogni tanto tutto spegnere perché rivivano le stelle e vi indichino la strada». Per attivare una resilienza autenticamente trasformativa a volte è importante accogliere la crisi e reimparare ad ascoltare i nostri desideri più veri per farli rinascere assieme a nuove visioni.

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