Avvenire di Calabria

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Piccola Opera, parla Squillaci: «Don Italo, uomo della speranza»

Luciano Squillaci

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La via che la nostra città ha voluto dedicare a Don Italo lo definisce come “sacerdote ed educatore”. Ed è esattamente ciò che lui voleva essere: prima di tutto un prete, e poi un educatore. Due ruoli strettamente connessi, inscindibilmente legati nella poliedrica personalità di don Italo. Credo di non fargli torto se affermo che persino il suo enorme amore per i poveri, nei quali ha sempre visto il volto di Cristo, aveva per lui un significato prima di tutto educativo.

Sapeva bene, infatti, che non è sufficiente «assistere il povero». La vera rivoluzione sta nell’educare le genti perché sia sconfitta la povertà. Ecco perché, nel piegarsi per primo di fronte agli ultimi, don Italo educava i suoi giovani a fare lo stesso. Don Italo parlava ai giovani di speranza, ma non una speranza “attendista”, che si limita ad aspettare tempi migliori. La speranza cui educa don Italo è una speranza dinamica, è quel «correre il rischio della speranza» di cui, a distanza di quasi 30 anni, ci parla Papa Francesco. Chi spera veramente, lotta fino alla fine.

Questo è il messaggio educativo che ha contraddistinto l’intera azione pedagogica di Don Italo. E c’è una convinzione forte dietro quest’azione educativa, il profondo rispetto verso i giovani, nei quali credeva con tutto sé stesso. Se la speranza è impegno, infatti, non si possono definire i giovani come “dis–impegnati”. Al limite come di– sperati, nel senso che non gli abbiamo fornito il dono della Speranza. Ecco, don Italo educava a questa Speranza, fatta di impegno, di azione, di incontro con l’altro, di forza della fede, di volontariato. Esattamente il contrario del messaggio del mondo, che invita i giovani, in modo più o meno esplicito, ad adattarsi a qualcosa che non si potrà mai cambiare, tutt’al più potrà peggiorare.

Don Italo invece conosceva bene il mondo dei giovani, ci viveva in mezzo e soprattutto li ascoltava, al punto da fare sentire ognuno di loro importante ed insostituibile. Da educatore provvedeva a rispondere al primo fondamentale ed innato bisogno dei ragazzi: il bisogno di relazioni. E quanto diventa importante oggi rispondere al bisogno di relazione dei ragazzi che abbiamo davanti. Don Italo lo faceva con la testimonianza, mostrava loro cosa significa l’altruità. Glielo mostrava attraverso il servizio verso i più fragili, facendo sentire loro l’odore stantio delle case dei poveri, il puzzo di umanità del vecchio manicomio o quello acre di vite spezzate e perdute nei rivoli infiniti dell’emarginazione.

Ma glielo mostrava senza mai farli abbattere di fronte alle ingiustizie, indicandogli al contrario la via maestra, quella del cambiamento. Gli ha insegnato a ribellarsi, ad agire, a lottare per andare fino alla causa delle brutture, delle diseguaglianze, per allargare i margini, fino a che i margini non esistano più. Ecco il messaggio educativo più profondo che ha lasciato don Italo e che interroga tutti noi ancora oggi: siamo chiamati ad offrire ai giovani qualcosa per cui valga davvero la pena di appassionarsi. Educare alla speranza: questo può davvero appassionare.

Come? Attraverso la speranza dell’impegno, proprio verso quelli che maggiormente faticano, che soffrono di più, mostrando con coraggio che questo mondo può davvero cambiare. A questo sono chiamati i giovani, a cambiare il mondo. Niente di meno. E don Italo lo sapeva bene.

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