Avvenire di Calabria

La volontà del Papa che si manifesta nei recenti viaggi tra cui Abu Dhabi: un incontro forte sul fronte islamico

Pizzaballa: «Medioriente: dialogo, via irreversibile»

Davide Imeneo e Federico Minniti

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Uno sguardo alla situazione in Medioriente, al dialogo tra musulmani e cristiani, agli equilibri precari in Terra Santa. Questi i temi dell’intervista a monsignor Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme dei Latini, in visita – nei giorni scorsi – a Reggio Calabria.

Partiamo dal documento di Abu Dhabi. Un passo importante, perché?

Direi, un atto prezioso più per il mondo islamico che per noi cristiani. Non è la prima volta che Chiesa e Islam si incontrano e si parlano: basti ricordare, due anni fa, il confronto in Egitto tra il Papa e l’Imam. Quello di Abu Dhabi è stato importanto tutto il contesto: è la prima volta che il capo dei cattolici va nel cuore del mondo islamico. L’impatto è sicuramente forte: condannare l’uso strumentale della religione per fini politici e violenti, seppur per i cristiani siano «scontate», hanno in realtà un effetto molto pesante per i fedeli musulmani. Altro fatto di rilievo è il riconoscimento delle Autorità islamiche delle comunità cristiane in Medioriente: non come minoranza, ma come cittadini di eguali diritti agli altri.
 
Prossimamente il Papa andrà in Marocco. Qual è la strada da seguire per avvicinarci sempre di più all’Islam?

Bisogna distinguere l’Islam dai musulmani. Le fedi non possono dialogare, i religiosi sì. Una spiritualità è sempre «chiusa» nei suoi dogmi. Credo che la via intrapresa da Francesco è molto importante: in virtù delle migrazioni, della globalizzazione, della comunicazione immediata, non ha alcun senso non trovare un via di incontri tra religiosi.
 
Un percorso che segue quanto fatto con la Comunità ebraica.

Il dialogo con l’ebraismo è una delle conquiste fondamentali del post–Concilio Vaticano II. Un rapporto cambiato diametralmente, in modo irreversibile. Si è passati dalla «superstizione ebraica» ai Centri cristiani per lo studio dell’ebraismo. Oggi abbiamo coscienza che non possiamo conoscere Gesù fino in fondo, se non approfondiamo la tradizione ebraica. C’è ancora tantissimo da fare, però, sul piano delle relazioni con le comunità: bisogna ammettere che ci sono ambiti che sono stati lasciati in secondo piano soltanto per motivi politici. Su tutti spicca il conflitto israeliano–palestinese.

I cattolici sono «tollerati» in Terra Santa?

Si tratta di comunità piccole, per cui non rappresentano una “minaccia” al carattere ebreo–giudaico di Israele. Queste persone vivono bene inserite nel contesto socio–culturale. Cristiani perseguitati in Medioriente. Qual è la situazione? Il periodo drammatico è quasi finito, mi riferisco al culmine dello straportere dell’Isis. Restano degli strascichi dentro il mondo islamico, soprattutto a livello ideologico come in Egitto, Pakistan e Siria. I cristiani hanno dato una testimonianza meravigliosa di fedeltà al proprio credo. Ci sono storie poco conosciute, come quella dei villaggi siriani sotto il controllo di Al–Qaeda, che hanno difeso tutte le icone della propria fede a costo della morte. Si tratta di gente semplice, capace di un grande gesto.

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