Avvenire di Calabria

Un sacerdote reggino salvò un bimbo: ha aiutato due fidanzati a vincere il timore di casa

Quando un parroco può aiutare a superare le paure

Redazione Web

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Pubblichiamo di seguito la testimonianza di un parroco della diocesi di Reggio Calabria – Bova che ha chiesto di rimanere anonimo.

T ra le carte più preziose, conservo nel primo cassetto del mio comodino un foglio del Consultorio familiare dell’Asp di Gallico. Si tratta di un certificato per l’interruzione volontaria di gravidanza, un documento che autorizzava una madre ad abortire trascorsi sette giorni dalla firma dello stesso. Era stato siglato da un ginecologo dell’azienda sanitaria e da una giovane donna che apparteneva alla prima comunità parrocchiale in cui fui parroco.

Sono entrato in possesso di quel foglio di carta una domenica di Pasqua di tanti anni fa.

Avevo terminato le celebrazioni in parrocchia, scartato un grande uovo di cioccolato insieme ai ministranti, condiviso una piccola festa insieme ad alcuni componenti della comunità e alle suore. Poi salii in macchina e mi diressi verso casa. Era tardi, abbondantemente trascorse le 13, andavo di fretta e scelsi una strada diversa da quella che facevo abitualmente, pur di arrivare il più presto possibile. Incontrai una macchina con due fidanzati, salivano verso casa. Scesi per salutarli e augurare buona Pasqua.

Notai, nel volto di lei, gli occhi lucidi, come se avesse appena pianto. Provai a chiedere loro cosa fosse successo, se potevo essere utile in qualche modo. Dopo qualche resistenza lei disse, tutto d’un fiato: «Aspettiamo un bambino, ma abbiamo deciso di abortire, è troppo pericoloso».

Chiesi: «Perché?». «Se lo sa mio padre mi ammazza, non ho il coraggio di dirglielo». Risposi di getto: «Glielo dico io, qual è il problema». Loro si misero a ridere, «ma non si può fare», «mio padre non viene a messa, ce l’ha coi preti». Infine, dissero che la pratica per l’aborto era già avanzata, e tirarono fuori il famigerato foglio di carta. Lessi che si raccomandava di soprassedere per sette giorni prima di fare l’intervento. Magari sarebbe stato meglio parlarne con calma. Li invitai a incontrarci nel pomeriggio, per ragionarci insieme. E il fidanzato mi disse: «Ma davvero volete aiutarci? Tutti, finora, ci hanno consigliato di abortire...».

«Ne riparliamo più tardi» tagliai corto. Porsi il documento dell’Asp al fidanzato, ma mi disse di tenerlo io, ne avremmo riparlato pomeriggio.

Qualche ora dopo ascoltai i timori e le paure di quella coppia di giovani fidanzati. Provai, però, a farli riflettere su un dato: come può un genitore “fare del male” a una figlia semplicemente perché è incinta...di suo nipote? Alla fine accettarono la mia proposta, la domenica dopo sarei andato a casa e insieme avremmo detto ai genitori di lei che presto sarebbero diventati nonni.

Onestamente, quando tornai a casa, mi resi conto di essermi esposto tanto...c’era l’eventualità che quell’incontro degenerasse.

Condivisi la mia preoccupazione con la superiora delle suore. Mi disse che sarebbe venuta anche lei all’incontro e che, se i genitori avessero “buttato fuori” la ragazza, lei era pronta ad accoglierla in comunità. Arrivò il fatidico incontro. Insieme alla suora, raggiunsi la famiglia dopo le messe della domenica, c’era anche la coppia di fidanzati. Avevano appena finito di pranzare, decidemmo insieme di prendere un caffé. Tra un sorso e l’altro io raccontai tutto. Al termine i due genitori si misero a ridere. Il padre mi disse: «E c’era bisogno che venivate voi a dircelo?». La madre, invece, raccontò di aver capito tutto già da settimane, e che lei era contenta. Era una delle prime belle giornate primaverili, il padre propose una bella passeggiata e la conversazione si spostò subito sulla scelta del nome. Quel bambino non era più un problema. Non lo era mai stato.

Qualche anno dopo ritrovai quel foglio di carta in macchina, la coppia era già sposata con altri figli. L’unica nota stonata, in tutta questa storia, fu la loro solitudine. Lei mi raccontò di essersi confrontata con tanti amici, anche con un catechista di un’importante associazione cattolica, l’unico consiglio era l’aborto. Mi chiedo, ancora oggi, se facciamo davvero abbastanza per formare le coscienze dei nostri operatori su temi così sensibili. O se permettiamo – magari inconsapevolmente – che una persona del nostro gregge scelga di abortire solo perché ha paura di dire a papà che è rimasta incinta. A volte una domanda può salvare una vita: «Perchè?».

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