Avvenire di Calabria

La consigliera Iachino racconta le pressioni subite dalle ‘ndrine «Gli ex proprietari volevano scegliere i nuovi ''inquilini''»

Quel bene confiscato bloccato: «Ora ci vive famiglia disagiata»

Federico Minniti

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Il Settore Patrimonio comprende, oltre l’Erp, anche la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Ne abbiamo parlato col consigliere comunale delegato al ramo, Nancy Iachino, che rifugge dalle critiche provando a spiegare il lavoro fatto (e anche quello non fatto) in questi anni: «Mercimonio, no, sui beni confiscati non lo accetto».

Perchè, dopo cinque anni, cos’è cambiato?
Tantissimo. Sono arrivata in un Settore inesistente, con un mare di regole raramente rispettate: nessuno dei beni confiscati in precedenza è stato assegnato attraverso una procedura di evidenza pubblica. Insomma, si tratta di regalie ad associazioni vicine all’allora maggioranza. Dovevamo modellare quel Settore e farlo attraverso la normativa vigente; per farlo, ci siamo confrontati con alcune associazioni – tra cui Libera – per l’elaborazione del regolamento sulla gestione dei beni comuni.

Regole uguali per tutti, ma rischio paralisi?
È innegabile che le difficoltà incontrate sono state tante e di diverso tipo. Partiamo da una valutazione: vanno “presi” dei beni confiscati utilizzabili per impegnarsi e non per fare vetrina e “dare i numeri”. Dico questo, perché questo discrimine ci ha inevitabilmente portato ad andare incontro ad alcuni problemi tecnici e “ambientali”. Anzitutto, molti fascicoli del passato sono completamente vuoti che non riportavano alcun atto che ricostruisse la storia di quel bene né della sua assegnazione. Mi sia consentito di evidenziare come magari non tutti i funzionari si siano impegnati allo stesso modo nel corso del tempo.

Questi sono i problemi tecnici, mentre quelli “ambientali”?
È ovvio che abbiamo avuto difficoltà con le famiglie di ‘ndrangheta a cui sono stati confiscati. In particolare, mi viene in mente il caso di un bene nella zona Sud della Città. Pur essendo tra i migliori a disposizione del Comune, fino al 2015 non era mai stato assegnato. Probabilmente, quel bene confiscato è stato acquisito per essere lasciato lì…

Si rende conto che questa è un’accusa molto grave?
Non voglio affermare che quel bene doveva restare nella disponibilità della famiglia di ‘ndrangheta, ma lasciarlo quantomeno chiuso, sì. Quello dico è supportato da quanto è capitato in seguito: mi riferisco all’atteggiamento degli ex proprietari nei confronti sia delle Istituzioni, siano esse politiche o di pubblica sicurezza, che di coloro che risultavano assegnatari di quell’appartamento, sempre puntualmente “scoraggiati”. «Chi ci viene qua lo devo decidere io», ci diceva l’ex proprietaria.

E oggi?
Dopo il terzo rifiuto di assegnazione, si è giunti alla conclusione di non poter obbligare – in un contesto così complesso – una famiglia ad andare a vivere lì. Si era pensato a una grande manifestazione di fronte a quel bene confiscato: poi è intervenuto l’avvento del Coronavirus. Proprio in questi giorni, si è ricollocato all’interno di quell’appartamento una coppia coi suoi figli che vivevano nella baraccopoli dell’ex caserma Duca d’Aosta. Un tentativo provvisorio che, al momento, sta sortendo i suoi effetti.

Un percorso lastricato di successi e fallimenti. Qual è il suo bilancio?
Sono sincera: mi sento sconfitta su tutti i fronti. Rispetto ai miei sforzi, avrei desiderato molto di più. Tuttavia voltandomi indietro, mi rendo conto del cammino fatto. Leggendo i giornali, noto che qualcuno parla dell’Ex Polveriera come una grande sconfitta dell’Amministrazione: sono, però, 50 anni che nessuno aveva mai mosso un passo. Nel corso degli anni abbiamo virato la nostra azione di gestione dei beni confiscati focalizzandoci sull’emergenza abitativa e le “falle sociali” che esistono sul territorio. Il mio auspicio è che, da qui a fine mandato, si riesca a concludere la prassi burocratica sia rispetto alla casa comunale per i senzatetto che il centro di accoglienza per le donne vittime di violenza. Anche se non sarò io a tagliare quel nastro, allora la Città potrà fare il suo bilancio sul nostro operato.

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