Avvenire di Calabria

Il racconto di don Graziano Bonfitto sui giorni di quarantena vissuti dai parrocchiani di Collina degli Angeli

Sant’Antonio, ricordi del lockdown: «Oltre il buio, la speranza»

Tatiana Muraca

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Oggi si festeggia sant’Antonio, e in un tempo in cui la pandemia sembra essersi un po’ assopita, il ricordo dei giorni di quarantena è più vivo che mai, perché da lì è ripartita la speranza e la fede nel futuro. Lo dice a gran voce anche don Graziano Bonfitto, che durante il lockdown non ha mai spesso di essere vicino, seppur moralmente, ai parrocchiani della Collina degli Angeli. Il Santuario di sant’Antonio, di cui è parroco, in questi giorni è stato impegnato nelle celebrazioni religiose in vista di oggi, 13 giugno: laici, presbiteri e volontari si sono prodigati ad organizzare il tutto, ma il pensiero di don Graziano va a due mesi fa, quando sembrava che la speranza e la paura avessero preso il sopravvento. «Nel momento della quarantena – parole di don Graziano – la gente aveva risposto inizialmente con il panico, lo shock per quanto stava accadendo. Soprattutto per chi crede e chi pratica un po’ di più rispetto ad altri, è stato difficile trovarsi a dover rimanere in casa e non poter venire nemmeno a pregare. Forti delle indicazioni di papa Francesco e dell’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini, però, invitavamo il popolo alla prudenza e a pregare nella loro “chiesa domestica”». Tutta la parrocchia di sant’Antonio ha cercato di non abbandonarsi allo sconforto: gli animi venivano rischiarati anche grazie ad una semplice cassa altoparlante, tramite cui don Graziano salutava i suoi parrocchiani: «Soprattutto la domenica, volevo offrire questo particolare saluto passando vicino alle abitazioni in cui vivono persone con disabilità, anziani o famiglie che erano rimaste separate dai loro cari. Non abbiamo mai fatto mancare questo accompagnamento spirituale e fraterno – continua don Graziano – Ogni giorno, dal piazzale del Santuario e tramite le casse, recitavamo l’Angelus la mattina e la sera ci raccoglievamo in un momento di preghiera». Secondo don Graziano, con il fatto di essere costretti a vivere la fede nelle proprie case, si è rischiato di far credere che la fede stessa fosse qualcosa di virale e puramente personale, «ma per noi è importante ritrovarsi nella comunità». 

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