Avvenire di Calabria

L'arcivescovo ha visitato il Centro Giovanni Paolo II della Piccola Opera Papa Giovanni

Tra le opere segno di don Italo, Morrone visita gli ultimi

di Domenico Nasone

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Monsignor Fortunato Morrone, vescovo della diocesi di Reggio – Bova da appena tre mesi, ha visitato il Centro “Giovanni Paolo II” venerdì 17 settembre. Ad accoglierlo c’erano gli ospiti e gli operatori di “Casa Ospitalità” e di “Casa Accoglienza”, il presidente della Piccola Opera Papa Giovanni, Pietro Siclari con alcuni direttori e membri del Cda, don Nino Iachino, padre spirituale dell’associazione e le suore della Congregazione di Nostra Signora di Usamabara, provenienti dalla Tanzania. Lo scorso 16 giugno, dopo quattro giorni dal suo insediamento nella diocesi, il vescovo Fortunato aveva chiesto di essere accompagnato a San Giovanni di Sambatello per pregare sulla tomba di don Italo Calabrò.


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L’incontro di venerdì pomeriggio ha consentito al vescovo di conoscere direttamente una delle tante esperienze di accoglienza nata dal cuore di don Calabrò e che oggi fanno parte della Piccola Opera. Tutti i partecipanti si sono così ritrovati nella accogliente cappella della comunità per partecipare alla santa messa. All’inizio della celebrazione eucaristica, Piero Siclari ha brevemente presentato “Casa Ospitalità”, avviata nel 1981 nei locali della Curia diocesana, e le altre comunità di accoglienza.

Siclari ha sottolineato l’importanza che le esperienze dell’associazione continuino ad incarnare e attualizzare il messaggio del fondatore: don Calabrò ha avviato le prime comunità di accoglienza per dare dignità ai più poveri, testimoniando la fede nel Signore Gesù attraverso la carità operosa e piena di fiducia nella provvidenza. Il presidente della Piccola Opera, nel garantire al vescovo la sincera disponibilità a vivere “accanto” alla diocesi nella pienezza della comunione, ha ribadito che le comunità di accoglienza, per continuare ad essere “opere segno” devono essere vissute dalla Chiesa reggina come luogo privilegiato di educazione alla fede e alla carità, ambiti formativi ed educativi soprattutto per i più giovani. Dopo la proclamazione della Parola di Dio, l’omelia del vescovo Morrone ha ripreso alcuni passaggi di Piero Siclari sottolineando il valore della scelta degli operatori della comunità: condividere a tempo pieno la vita con gli ospiti che, durante la pandemia, in due occasione e per 15 giorni consecutivi, hanno dovuto isolarsi in quarantena.

Don Fortunato ha quindi richiamato il senso del racconto, nel Vangelo secondo Giovanni, dell’ultima cena quando Gesù, dopo che si cinse i fianchi con un grembiule, si mise a lavare i piedi ai discepoli. E ha ricordato che la liturgia del giovedì Santo, dopo la lavanda dei piedi, prevede il canto “dov’è carità e amore lì c’è Dio”. Ha poi ripreso il brano del vangelo di Luca appena proclamato: Gesù va in giro per città e villaggi predicando e annunciando la buona notizia del Regno di Dio. Durante il suo “cammino” è accompagnato dai dodici apostoli e anche da alcune donne che “li servivano con i loro beni”. Don Fortunato ha spiegato che anche Gesù, come tutti noi, nella sua vita ha avuto bisogno di essere assistito. E richiamando l’inscindibile unità tra fede e carità, ha citato il brano del capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo, quello caro a don Italo. Alla fine dei tempi saremo giudicati sull’amore: «avevo fame, avevo sete, ero nudo, ero malato, ero carcerato, ero straniero e mi avete aiutato». E quando serviamo un povero, ha detto l’arcivescovo, serviamo lo stesso Gesù.

In questa comunità si serve Gesù: negli anziani, nei bambini, nelle persone più fragili. Anche l’offertorio è stato un bel momento di mistagogia. Al vescovo sono stati presentati tre doni: un quadro dipinto da un anziano, un centrino ricamato con l’uncinetto e un piccolo scrigno con dentro diversi messaggi scritti per il vescovo. Terminata la celebrazione eucaristica è stata condivisa la cena nella sala mensa. Presente anche il parroco don Antonio Bacciarelli, è stato vissuto un altro momento di fraternità con il racconto di aneddoti che hanno fatto in qualche modo la storia della carità nella diocesi reggina, con protagonisti don Calabrò, suor Speranza e i poveri di ieri.


PER APPROFONDIRE: Monsignor Morrone prega sulla tomba di don Italo Calabrò


Monsignor Morrone, accompagnato da Siclari, alla fine è andato a salutare personalmente uno degli anziani che non riusciva a capire chi fosse veramente il vescovo. Mentre i commensali stavano lasciando la sala mensa, si è udita la voce forte e chiara di Ajoub: «ciao, Fortunato». E il vescovo torna indietro e abbraccia il bambino. Che meraviglia. Don Calabrò, dal cielo, certamente sorride felice! Grazie al vescovo Fortunato che ha voluto incontrare una porzione di Chiesa reggina che cerca di vivere, con umiltà, la propria fedeltà a Gesù e ai più poveri e fragili.

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