Avvenire di Calabria

Nel primo anniversario dell'aggressione della Russia alla popolazione ucraina si rinnovano gli accorati appelli alla posa delle armi

Ucraina un anno dopo, Zuppi (Cei): «La vera vittoria è la pace»

Il presidente della Conferenza episcopale italiana non ha dubbi: «I conflitti non solo l'unica via possibile e da portare avanti»

di Redazione Web

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Oggi si ricorda il primo anniversario dell'aggressione della Russia all'Ucraina e si rinnovano i messaggi di pace: oltre a quello del Papa, l'invito a perseguire la via della pace arriva dal cardinale Zuppi, presidente della Cei.

Zuppi (Cei): «La pace non è mai complicità con il male»

«Non ci dobbiamo abituare alla guerra e alla violenza. Non dobbiamo mai rinunciare alla ricerca della pace». Ad un anno dallo scoppio del conflitto in Ucraina il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana torna (con un'intervista al Sir) sulla guerra e sulla necessità di ritrovare al più presto la pace.

«L’abitudine porta alla rassegnazione e si accetta la guerra come unica via possibile. Ma la vera vittoria è sempre la pace», ribadisce Zuppi, secondo il quale «lo sforzo da compiere è aprire tutti gli spazi possibili per interrompere la logica della guerra, iniziata da un aggressore. Dialogo e giustizia, pace e giustizia devono andare d’accordo. Chi cerca la pace, trova anche la giustizia».

Il presidente della Cei è convito che l'unica via possibile da persesguire sia una sola: «Con l’insistenza della povera vedova, bisogna cercare la via della pace. E cercare la pace non è mai complicità con il male o arrendevolezza».

Accogliere, «apre al futuro»

Di fronte ai milioni di profughi che scappano in tutto il mondo dalle guerre, il cardinale ricorda, poi, che «l’accoglienza è l’unico messaggio possibile». «Chi non ha casa, va accolto. Dobbiamo metterci sempre nei panni degli altri. Chi ha perduto tutto e deve scappare, deve trovare accoglienza. Non ci sono alternative».


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«Quello all’emigrazione - spiega - era un diritto garantito per tutti gli uomini, prima che sorgessero muri e nascessero paure. Tanto più per chi scappa da guerra, violenza o fame. Mettere in contrapposizione questo con il nostro futuro, significa non volere il futuro. L’accoglienza apre al futuro, la chiusura fa perdere anche il presente».

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