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L’avvocato, già Garante comunale a Reggio Calabria: «Rinnovo la mia vicinanza per chi vive e opera nel mondo carcerario»
Il sogno di essere genitori, spesso, trova ostacoli culturali inaspettati. Vi raccontiamo una storia i cui protagonisti, scegliendo di rimanere anonimi, hanno voluto illustrare i dettagli al nostro settimanale.
Si tratta di una vicenda che parte da Reggio Calabria, ma che – come ribadito dagli stessi – assume un aspetto universale senza distinzioni territoriali. Il nostro confronto si apre con una domanda a bruciapelo: «Lei sa quanto è difficile diventare mamma se si è disabile?». Invertiti i ruoli, l’intervistato ribalta il tavolo giocando una «partita» che spesso è totalmente inosservata.
La genitorialità è un dono d’amore e come tale si muove, spesso, fuori dal rigore della logica. Segue strade emotive che sono difficili da percorrere se la posizione del viaggiatore non è quella dell’«accanto».
Così una coppia, entrambi con disabilità, decidono di avere una prosecuzione, un «domani» nella loro esistenza. La prima gravidanza, però, non va per il meglio. Un aborto spontaneo sembra interrompere bruscamente il sogno di essere mamma e papà.
«Ma perché speravate di avere pure un figlio?». Questo il commento, tra un macabro sarcasmo e un’inopportuna leggerezza, che viene fatto ai due. Anni di battaglie, spesso solo ideologiche, per la parità dei diritti dei disabili svaniti in quella frase detta da un medico, custode della vita umana tra le mura ospedaliere. Si possono superare tante barriere, ma non quelle che limitano un’aspettativa di vita normale. E questo “sentire”, spesso, avvolge anche chi – per natura – è prossimo a quanti, come i nostri due intervistati, hanno il desiderio di diventare genitori. «Ma chi ve lo fa fare?». E peggio ancora: «Ma perché dovete costringere un bambino a nascere malato?».
Una testimonianza cruda, che ci spiazza, tutti quei “ma” provengono dagli affetti di questa coppia che è ferita nel proprio animo, ancor più perché questi dubbi ne sottendono uno ancora più grave: «Quasi tutti reputano che questa nostra volontà sia un fatto di egoismo».
Generare una vita, quindi, sarebbe una questione di amor proprio e non – come accade per tutte i coniugi “normodotati” – l’estremo atto di amore per la vita in quanto tale.
C’è tanto da imparare in questa coppia di reggini che affronta quotidianamente ostacoli che, ai più, apparirebbero come insormontabili. Un coraggio che li ha riportati a credere nella sacralità della procreazione, vivendo una nuova gravidanza e una nascita che oggi ha portato in dono il loro primo figlio. Un bimbo vivace, sereno e amato.
Tanti di quei dubbi, instillati dalla subcultura dell’assistenza perenne ai disabili, sono svaniti alla vista di una straordinaria ordinarietà: ha vinto la vita contro tutti i pregiudizi.
Questa testimonianza, seppur costellata da particolari che lasciano sgomenti, però è un forte inno alla genitorialità. Apre squarci di riflessione circa la precocità alla sessualità dei millenials al fronte del ritardo recidivo del voler «metter sù famiglia» per i nati negli anni ‘80 alle prese con una precarietà esistenziale. «Non c’è un tempo esatto per l’amore, ma è sempre il tempo perfetto per amare». A dircelo è un genitore in sedie a rotelle che guarda il figlio sgattaiolare sapendo consapevolmente che per lui sarà impossibile «stargli dietro». Sono sentimenti forti, quelli vissuti, con questa famiglia che ricorda tutte le lotte fatte per giungere sino a oggi. Difficoltà che si moltiplicano col passare del tempo, poiché, al dato etico– culturale sinora analizzato, si affianca una scarsa propensione politica a prendersi cura di casi come il loro.
Lo abbiamo già evidenziato nello scorso numero (pubblicato il 28 ottobre 2018, ndr) raccontando quanto sia difficile avere una casa su misura per una famiglia con disabilità, lo stesso vale circa il diritto alla genitorialità che spesso viene «mutilato» nel nome della «normalità», disponendo azioni e direttive che sono escludenti per quanti, invece, sono portatori di disabilità.
L’auspicio è che storie come questa, supportati da una profonda spiritualità individuale e comunitaria, servano da monito e avviino dei momenti di riflessione nelle realtà ecclesiali del nostro territorio affinché tutte le famiglie trovino dei compagni di viaggio attenti alla dimensione umana dei sacrifici di ciascuno e sempre protesi alla difesa della dignità di ogni vita umana. Affinché quel «ma chi ve lo fa fare» si tramuti culturalmente in un «ma perché non ci provate» per tutte quelle coppie che reprimono il loro desiderio di genitorialità in quanto spaventati dagli ostacoli socio–culturali del tanto agognato Terzo millennio.
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