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Nella Cattedrale di Reggio Calabria si è svolta questa sera la veglia diocesana per la pace. L’Arcivescovo ha richiamato il Vangelo come misura delle scelte e ha indicato la via maestra: «Non ci sarà pace senza perdono: è il fondamento della riconciliazione».
Candele accese, volti rivolti al Santissimo e alla Madonna della Consolazione, un canto che ritorna come una domanda, quasi una litania: pace. È in questo clima che questa sera si è svolta la veglia di preghiera per la pace, nella memoria mariana del 13 ottobre della sesta e ultima apparizione della Madonna a Fatima nel 1917, con l’Arcivescovo a guidare un popolo che non si rassegna all’idea che la guerra sia l’ultima parola sulla storia. La liturgia ha offerto il respiro largo delle Beatitudini e l’annuncio di Paolo: Cristo è la nostra pace. L’Arcivescovo ha invitato a superare letture di parte e semplificazioni, restituendo allo sguardo cristiano la sua profondità evangelica. «Da che parte sto? Dalla parte del Dio di Gesù, dalla parte degli ultimi»…è una scelta di campo che nasce dal Vangelo e che rifiuta il tifo, l’ostilità verbale, la logica del capro espiatorio.
Il cuore dell’omelia ha toccato la parola più esigente: riconciliazione, una via che costa: «La pace del mondo – ha affermato l’arcivescovo – si firma per sfinimento; la pace del Vangelo nasce dal sacrificio e dal perdono». Morrone ha richiamato il realismo della storia (dove gli accordi senza una vera guarigione producono nuovi conflitti) e il realismo della fede, che chiede di ricominciare dal perdono ricevuto e donato: «Non ci sarà pace senza perdono: è il fondamento della riconciliazione». Davanti all’ostensorio la comunità ha sostato a lungo…è lì che il Vangelo diventa stile di vita e misura delle relazioni. «Quel Pane ci specchia: lì ci siamo tutti, anche il mio “nemico”…non una spiritualità disincarnata, ha spiegato l’Arcivescovo, ma l’allenamento a disinnescare la violenza che abita il linguaggio, i giudizi, i piccoli rancori quotidiani». Perché la pace, se non abita le parole e i gesti, allora non è pace.
La veglia ha intrecciato silenzio, canti e brani del Magistero sulla pace, fino a proporre la scelta decisiva: assumere lo stile di Gesù, mite e giusto, capace di resistere al male senza copiarne i metodi. È la grammatica degli “operatori di pace”, una conversione concreta che parte dalle relazioni di casa e di lavoro: «Il linguaggio può creare guerra, ha affermato Morrone, convertiamo le parole per costruire fraternità».
La processione, con le candele a segnare nell’oscurità una strada di luce, ha portato in piazza Duomo l’invocazione della comunità che prima era raccolta in Chiesa. La preghiera si è fatta intercessione per i popoli feriti e impegno a una cittadinanza più giusta, in molti hanno raccolto l’appello a non restare spettatori, ma a chiedere il dono di perdonare per ricucire ciò che la violenza lacera: «Non ci sarà pace senza perdono: è il fondamento della riconciliazione», ha ribadito l’Arcivescovo, consegnando alla città un mandato chiaro.
La veglia ha offerto una bussola essenziale: la pace cristiana è responsabilità che nasce dalla memoria dell’Amore più grande e si traduce in scelte quotidiane, tutte riconducibili a un'unica domanda: «Da che parte sto? Dalla parte del Dio di Gesù, dalla parte degli ultimi». Se questa domanda scende nelle coscienze e si incarna nella vita, allora la preghiera di stasera sarà l’inizio di un percorso: riconciliati per riconciliare, perdonati per perdonare, cittadini capaci di parole che ricostruiscono. Perché la pace è una promessa che attende mani e cuori disposti a mantenerla.

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