Avvenire di Calabria

I fedeli sono scesi dalla parrocchia di via Aschenez a quella sul Corso

Via Crucis ”congiunta” per Cattolica e San Giorgio

Antonio Marino

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S’è anche calmato quell’antipatico e fresco venticello, che nel primo pomeriggio cominciava a sferzare le strade della Reggio Città Metropolitana, allorquando, all’incirca alle otto della sera del secondo venerdì di Quaresima, dalla Chiesa della “Cattolica dei Greci” è incominciato il cammino dei parrocchiani di don Nuccio Cannizzaro e don Valerio Chiovaro.
“Via Crucis Interparrocchiale” è il titolo che campeggia sulla copertina del libretto che riproduce le meditazioni e i canti di quel percorso appresso a Gesù, che inizia con Pilato e finisce con Giuseppe di Arimatea.
“E’ in discesa, quest’anno – attacca don Valerio, introducendo il tempo della preghiera, del cammino e della sosta – il tragitto che abbiamo scelto. Ma non è in contrasto con quello calpestato da Gesù. Poiché, se per giungere al Golgota è stato costretto a camminare in salita, per farsi Uomo, per far si che il Verbo si facesse carne, il Cristo è sceso su questa Terra, svuotando se stesso e la sua divinità, divenendo essere umano proprio come noi, con le nostre debolezze, le nostre delusioni, le nostre speranze”.
Ed alternando brani biblici e meditazioni – come ad esempio quella che ricordava che “non sempre, Dio, rispetto ai sospiri dignitosi del povero, da la precedenza al canto gregoriano che risuona nelle chiese”. Ed ancora: “non sempre si fa sedurre dal profumo dell’incenso, più di quanto non si accorga del tanfo che sale dai sotterranei della storia” – la folla che seguiva la Croce, costeggiando il tapis roulant, ha raggiunto la Chiesa di San Giorgio della Vittoria, altare deputato ad accogliere la conclusione del cammino.
“Ogni nostro inizio – esordisce don Nuccio, prima d’impartire la Benedizione finale – è segnato dalla cenere, dono che la Chiesa fa all’inizio della Quaresima. La cenere simboleggia il peccato, rievoca in noi il desiderio di pentimento, fa riemergere nell’animo nostro la voglia d’essere essenziali, nella vita e nelle scelte. Ed ogni nostro cammino, dalla cenere si snoda fino a compiersi in un catino d’acqua, proprio come la Quaresima, che termina al Giovedì Santo, col Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli. E l’acqua, alla fine di un percorso, il nostro, fatto con fede, ma anche con speranza, carità e vera umiltà, indica il nostro rinascere a vita nuova, la nostra risurrezione, la capacità nostra d’esserci fatti a immagine e somiglianza del Cristo…”
Le note dell’organo, dopo aver dato colore e forza ai versetti della celebre “Ti saluto o Croce Santa”, concludono un’oretta e mezza vissuta fianco a fianco dalle due parrocchie e suggellata dall’abbraccio, reciprocamente paterno, fra i due parroci.
E intanto, ripresentatosi lieve lieve, il venticello portava tra le strade reggine uno dei concetti che il Venerabile Cappuccino Padre Gesualdo Malacrinò andava ripetendo, su quelle stesse vie, nel Diciassettesimo Secolo: “la croce è dura a portarsi: molti cominciano, pochi perseverano…”

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