Avvenire di Calabria

Vita della Chiesa e afasia dei laici

Dialogo e prospettive di crescita per la comunità cristiana

Mario Nasone

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Su Avvenire di Calabria, don Demetrio Sarica, parroco del Loreto in Reggio Calabria, ha sollevato una problematica che è vitale per il futuro della parrocchia ma possiamo aggiungere anche per quello della Chiesa Locale: “Abbiamo fame di laici impegnati, c’è difficoltà a reperire laici che dedichino tempo, non abbiamo un vero sguardo cattolico sul territorio. Qui si gioca anche il futuro della parrocchia perché, nonostante i laici che già collaborano siano abbastanza impegnati, ci sarebbe bisogno di una maggiore disponibilità”.

La riflessione è corretta ma andrebbe ampliata per capire le ragioni che spiegano questo insufficiente coinvolgimento dei laici nella vita della Chiesa, iniziando a domandarsi quanto si sta facendo a livello pastorale per farli sentire protagonisti e non semplice risorsa a cui attingere magari per coprire gli spazi lasciati vuoti dal clero carico di tante incombenze. Il posto dei laici nella Chiesa è un tema che ritorna continuamente.

Al Convegno ecclesiale di Palermo “Con il grande dono della carità dentro la storia” del 1996, quando Franco Garelli, sociologo ed esperto di pastorale giovanile pose l’interrogativo provocatorio: ma la chiesa ha paura dei laici? Si levò dall’assemblea un applauso corale, una vera e propria standing ovation che esprimeva il disagio, se non addirittura la sofferenza di sentirsi spesso come laici ai margini della chiesa.

Un tema rilanciato da Paola Bignardi nel convegno diocesano di Settembre quando evidenziava “il senso di estraneità dalla Chiesa di molti laici cristiani che nell’attuale impostazione delle comunità non trovano spazio perché si renda presente questa loro esperienza di vita”. La domanda di fondo che dovrebbe emergere, anche nella nostra Chiesa Locale, è: i laici dove sono in tutte le occasioni di sofferenza e di scelte importanti? Ci sono ancora? Sentono la responsabilità in quello che succede? Sono sufficientemente presenti con una modalità profonda di corresponsabilità e condivisione? O sono solo degli ‘esecutori’ di compiti, o ‘organizzatori’ di belle iniziative? Quanti hanno incarichi nelle Curie e nei vari settori pastorali alleggerendo il clero da alcuni servizi gravosi? Ancora, a fronte di un attivismo dei Vescovi molto presenti anche sui mass media su tutti i temi che toccano direttamente o no la Chiesa ed i suoi valori fondanti, si registra una afasia dei laici dettata forse da un malinteso senso del discernimento e dell’obbedienza ecclesiale che rischia di diventare conformismo, de-responsabilizzazione, rinuncia a svolgere  quel ruolo profetico di cui la Chiesa ha bisogno vitale.

Eppure, nella nostra locale ci sono stati momenti storici in cui il laicato ha svolto un ruolo importante nella vita della Chiesa, nelle sue scelte ma anche nella storia della città, assumendo posizioni che potevano essere laceranti a livello ecclesiale. Durante gli episcopati di monsignor Ferro e di monsignor Sorrentino negli anni settanta e ottanta, vi era una grande vivacità e non sono mancati i momenti di contestazione da parte di laici che vivevano le tensioni sociali e le spinte al cambiamento che il ‘68 aveva innescato anche nella nostra chiesa locale.

Il lavoro nelle periferie abbandonate, le ingiustizie sociali, la tracotanza della ‘ndrangheta e le sue collusioni con la politica, portarono tanti laici di quel tempo a reagire, a chiedere alla chiesa scelte di discontinuità, a rompere con il collateralismo con la DC, contro il tabù dell’unità politica dei cattolici che allora era predominante.

Come non ricordare i convegni ecclesiali della chiesa reggina all’auditorium San Paolo dove emergevano anche scontri dialettici tra le diverse visioni di Chiesa e della pastorale ma sempre in un clima di fraternità e comunione che dava spazio a tutti. Un fermento che portò poi tanti laici a decidere di presentarsi alle elezioni comunali con le liste di “Insieme per la città” e poi della Rete che elessero come rappresentanti figure storiche dell’azione Cattolica e dell’Agesci come Giuliano Quattrone, Pino Curatola, Gianni Pensabene.

In quegli anni difficili il merito è stato nell’atteggiamento paterno di comprensione e di dialogo assunto da monsignor Ferro e poi da monsignor Sorrentino, ma anche da sacerdoti che di questo dialogo si fecero ponte e garanti: tra questi don Italo Calabrò, don Salvatore Nunnari, don Umberto Lauro, don Lillo Spinelli, don Antonino Iachino, assieme a quella splendida figura di Maria Mariotti.

Un pezzo di laicato che si immerse nella storia di Reggio, favorendo la stagione della primavera di Italo Falcomatà, senza recidere quel legame profondo con le propria comunità ecclesiali di appartenenza che alimentava il loro impegno politico.

Ricordare quelle stagioni non è nostalgia di un tempo non replicabile ma evidenziare un metodo pastorale di relazione con il laicato che ancora oggi è valido, quello dell’ascolto, del rispetto dell’autonomia, della formazione alle scelte ed alla corresponsabilità. Nel campo della carità questo metodo portò ad affidare a laici, alcuni molto giovani e correndo rischi, responsabilità importante nella gestione delle opere. Non facendo però mancare loro la indispensabile guida spirituale e l’accompagnamento quotidiano.

Ancora oggi questa può essere una delle prospettive del nuovo cammino della nostra Chiesa Locale ripartendo dalle importanti indicazioni pastorali che Paola Bignardi ha lasciato nella parte conclusiva della sua relazione al convegno ecclesiale e dalle iniziative pastorali assunte dal nostro Vescovo per spingere tutta la comunità a riflettere su come ripartire in questo anno per compiere il cammino di fede della nostra Chiesa Locale.

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