Lunaria vince la prima edizione del premio “Nati per la musica”
Ai vincitori è stata consegnata una scultura realizzata da Antonio La Gamba Il presidio della
È una calda giornata di fine maggio, quella che fa da sfondo ai rilievi dei carabinieri di Mileto e dei loro colleghi del Comando provinciale di Vibo Valentia che, coordinati dalla procura dei minori di Catanzaro, indagano sull’uccisione, per mano di un suo coetaneo, di Francesco Prestia Lamberti, 16 anni a luglio.
È tra gli ulivi, in località Vindacitu, ad alcuni chilometri dal centro abitato, ora illuminati dal sole, che nel buio della notte si consuma quell’omicidio che scuote Mileto, appena seimila anime, anche per quello che sembra il movente: essersi innamorati della stessa ragazza.
Forse la gelosia spinge i due, che frequentano l’Istituto di istruzione superiore 'Enrico Fermi' di Mileto e che a volte escono insieme facendo parte della stessa comitiva, ad incontrarsi di notte tra quegli alberi, in aperta campagna. È lì che, probabilmente tra una frase di troppo e qualche spintone, A.P.,15 anni, estrae una pistola ed esplode contro il suo amico alcuni colpi, uccidendolo. Quindi, ripercorre al contrario quella stradina sterrata che conduce al luogo dove ha commesso l’omicidio e che la vittima aveva percorso tranquillamente, ignara di quello che l’attendeva perché era insieme a chi si fidava, come, del resto, testimoniano le foto che campeggiano sui loro profili facebook e da cui Francesco osserva il mondo con quei suoi occhi grigio/azzurro ormai spenti per sempre per mano di chi credeva fosse un amico. E sono quelle foto che, forse, riecheggiano nella memoria di A.P. che, nel fare rientro a Mileto, decide di costituirsi e di raccontare tutto ai carabinieri ai quali indica anche il luogo dove ha abbandonato il corpo senza vita di chi, fino a qualche ora prima, aveva condiviso con lui momenti di spensieratezza tipici dell’età. Lui è figlio di un esponente di primo piano di una cosca del vibonese, storicamente collegata al clan Mancuso di Limbadi: il padre e i fratelli, infatti, sono stati arrestati nell’operazione 'stammer' condotta nel gennaio scorso dalla Guardia di finanza di Catanzaro, coordinata dalla Dda, contro un narcotraffico gestito dalle cosche di ’ndrangheta della zona. Nel lungo racconto che A.P., accompagnato dai suoi legali, fa ai carabinieri, spiega pure che la pistola con cui ha sparato è quella legalmente detenuta dal nonno di cui sarebbe entrato in possesso e che ha portato con sé a quell’incontro.
Tante, quindi, le domande alle quali gli inquirenti in queste ore stanno cercando di dare risposte. Dalle modalità con cui il ragazzo sia venuto in possesso dell’arma ai reali motivi che lo avrebbero spinto a premere quel grilletto con cui ha legato il suo destino alla vita del suo amico; al perché i due, di notte, si siano recati in quell’uliveto per chiarire.
Non avrebbero potuto farlo anche in paese? E, poi, perché A.P. si è recato lì armato?
Inoltre, come sono giunti sul posto? Sono arrivati insieme? Lo hanno fatto con lo stesso mezzo? Dubbi su cui i carabinieri mantengono il massimo riserbo in attesa di fare piena luce sull'omicidio. Nella tarda serata di ieri, D.E., 19 anni, si è recato presso la locale stazione dei carabinieri per rendere una dichiarazione spontanea. Sarebbe stato lui ad accompagnare i due sul luogo del delitto e - appena sentiti gli spari - sarebbe scappato.
Questo mentre gli amici piangono Francesco, calciatore nelle giovanili del Mileto, descritto come solare, allegro e bravo a scuola: 'Che tu possa avere sempre il vento in poppa, che il sole ti risplenda in viso e che il vento del destino ti porti in alto a danzare con le stelle', scrive un suo amico sul suo profilo facebook; mentre un altro ricorda 'sei stato il fratello che non ho mai avuto, mi mancherai davvero tanto
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