Avvenire di Calabria

Il 7 gennaio sarà l’anniversario della rivolta dei braccianti extracomunitari di Rosarno

Ancora caporalato, viaggio tra gli invisibili della Piana

Quattordici anni dopo, siamo tornati in quei luoghi per capire cosa è cambiato

di Redazione Web

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Il 7 gennaio sarà l’anniversario della rivolta dei braccianti extracomunitari di Rosarno. Un episodio legato ad una vicenda di cronaca, ma che esplose in tutto il suo dramma attraverso la contestazione e la rivendicazione di diritti negati per centinaia di stagionali, per lo più africani, impiegati negli agrumeti della Piana di Gioia Tauro. Quell’iniziativa di protesta fu occasione per manifestare dissenso verso forme di sfruttamento e schiavitù.

A distanza di quattordici anni, siamo tornati in quei luoghi per capire se effettivamente è cambiato qualcosa. Sull’ultimo numero di Avvenire di Calabria, in edicola domenica scorsa con il quotidiano nazionale Avvenire,  abbiamo chiesto  qual è oggi la situazione al diacono Cecè Alampi, da sempre accanto ai migranti della Tendopoli di San Ferdinando.

Piana di Gioia Tauro, ancora caporalato: «è una ferita aperta»

Caporalato e lavoro nero. Nell’ultimo anno ben 27 imprese della Piana di Gioia Tauro sono state sospese perché non in regola. Dal bilancio annuale di forze dell’ordine e ispettorato del lavoro, emerge la fotografia di un fenomeno ancora diffuso. Ne abbiamo parlato con Cecè Alampi, diacono e per anni direttore della Caritas diocesana di Oppido Mamertina - Palmi.


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Il suo servizio in “trincea” in mezzo agli ultimi che spesso e volentieri trovano posto nella tendopoli di San Ferdinando, prosegue in modo silenzioso. Oggi Alampi è direttore diocesano delle ultimanze. C’era anche lui, nel gennaio del 2010, quando a Rosarno esplose la protesta dei braccianti extracomunitari a rivendicare dignità e diritti.

👇 Ascolta qui la sua testimonianza nella puntata del Podcast Good Morning Calabria 🎧

Fra qualche giorno, ricorre il 14° anniversario della “rivolta” di Rosarno. Cosa è cambiato da allora?

Potremmo dire meglio cosa non è cambiato. Sono ancora tantissimi i braccianti agricoli immigrati africani con regolare permesso di soggiorno e carta di identità a vivere in condizioni di grave sfruttamento o in alloggi di fortuna nel retroporto, in capannoni industriali dismessi o casolari abbandonati. In questi anni, nonostante decine di riunioni e tavoli istituzionali, anche in prefettura, da parte delle istituzioni locali, regionali e nazionali è mancata una vera programmazione. La situazione dei migranti continua ad essere affrontata come problema di ordine pubblico e non, come dovrebbe, sul piano umano e valoriale.

Qual è, oggi, la situazione alla tendopoli di San Ferdinando?

La tendopoli del Ministero dell’Interno realizzata dopo lo sgombero e l’abbattimento della “vecchia” baraccopoli è diventata, anch’essa, una vera e propria baraccopoli. Insieme al sovraffollamento (oggi contiamo oltre 500 residenti), l’altra emergenza che si registra è igienico-sanitaria. Manca, inoltre, una gestione, un coordinamento. Non è presente un centro di ascolto e orientamento ufficiale. L’unico presidio di legalità, ad onor del vero, sono rimaste le forze dell’ordine coordinate dal commissariato di Gioia Tauro. Principale punto di riferimento, svolgono il loro servizio, da sempre, con molta umanità nei confronti di chi vive lì dentro.

Che clima si respira all’interno?

È governata da clan nati all’interno di essa, dove vige la regola del più forte. Continue sono le minacce e le ritorsioni nei confronti dei più deboli e verso coloro che vorrebbero solo lavorare tranquillamente e vivere in pace con tutti. C’è poi la situazione critica dell’acqua e della corrente elettrica. Nonostante il contrasto agli allacci abusivi, acqua ed energia non sono sufficienti, specialmente in questo periodo di freddo invernale, a soddisfare le esigenze di tutti gli ospiti. Nei fatti, la carenza di soluzioni abitative adeguate rende i lavoratori sempre più invisibili, sempre più fragili poiché costretti a disperdersi in abitazioni di fortuna nelle campagne e sempre più esposti allo sfruttamento e al caporalato.

I provvedimenti normativi e, in particolare, la legge sul caporalato hanno contribuito a uscire fuori dalle maglie del sommerso?

La legge sul caporalato ha assestato un duro colpo ai “caporali” e ai loro mandanti. Parlano i numerosissimi controlli effettuati da forze dell’ordine e ispettorato del lavoro, presso le aziende agricole. Nell’ultimo anno sono state sospese quasi trenta aziende e elevate sanzioni, pensate, per oltre un milione e trecento mila euro. Tante le persone arrestate. Nonostante questa preziosa azione, però, il fenomeno del caporalato riemerge sempre come la fenice.

Tendopoli San Ferdinando. Cecè Alampi (al centro) con volontari e immigrati

Caporalato e sfruttamento, al di là dei periodici numeri forniti dalle forze dell’ordine. Perché se ne parla poco?

Forse perché non fa notizia, almeno finché non succede qualche grave incidente o, peggio ancora, ci scappa il morto. In quel caso i giornali e gli altri media se ne occupano per qualche giorno e, poi, di nuovo tutto come prima. Credo, inoltre, che meno se ne parla e più qualcuno pensa di agire illegalmente e indisturbato. Per fortuna a mantenere viva l’attenzione ci sono le associazioni che operano accanto agli immigrati. Anche se, ultimamente, si avverte tra di loro una certa sfiducia. Io dico, però: forza e coraggio, non perdiamoci d’animo!

In particolare sul territorio della Piana, qual è il rapporto tra sfruttamento della manodopera e immigrazione clandestina?

È legato al bisogno, specie quando il lavoratore è clandestino e senza documenti. Allora accetta uno stato di sudditanza continuativa, oltre ad assecondare la richiesta legata a mansioni pesanti, superiori allo stato fisico e alle proprie forze. I “caporali” agiscono illegalmente e spesso in accordo con la ‘ndrangheta, senza rispettare tariffe né contrattuali né sindacali. Nonostante questo, il caporalato spesso è ancora l’unico punto di contatto tra offerta e richiesta di lavoro soprattutto in campo agricolo.

A chi fa comodo mantenere questo stato di cose?

A chi agisce illegalmente, fa comodo alla ‘ndrangheta, ma anche alle aziende che cercano di trarre profitto sfruttando la manodopera legata al bisogno e pagata a poco prezzo, evadendo in parte o addirittura completamente le imposte e i contributi che dovrebbero versare allo Stato.


PER APPROFONDIRE: Lotta al caporalato, resta alta l’attenzione nella Piana di Gioia Tauro


Qual è stato fino ad oggi e quale deve essere ancora il contributo della società civile e della Chiesa perché si possano definitivamente ribaltare le attuali situazioni legate a sommerso e lavoro nero?

Fino ad ora il contributo della società civile e della Chiesa è stato l’unico che ha costruito ponti, è stato l’unico che ha contribuito ad abbattere i muri della paura del diverso e dello straniero, così come dell’indifferenza. È stato l’unico contributo che ha creato rapporti umani e solidali con i migranti che non sono numeri da contrastare, ma esseri umani che affrontano viaggi difficili, faticosi e disumani per fuggire dalla guerra, dalla persecuzione politica e razziale, dalle carestie e dalla povertà e per cercare un avvenire migliore per le loro famiglie, per i loro figli.

Cosa manca dunque?

Favorire l’eccesso ad un’abitazione dignitosa. Faccio appello, per questo, alla società civile e alle comunità ecclesiali. Nella Piana abbiamo case e villaggi costruiti appositamente per i migranti e le loro famiglie. Alloggi non ancora assegnati. Emblematici, sono i casi di Rosarno o Taurianova. Dopo diversi anni bisogna avere il coraggio di procedere alle assegnazioni. Servono poi servizi in supporto a chi necessita il rinnovo di documenti e permessi di soggiorno. Solo chi è nella legalità può rivendicare diritti e ribaltare le attuali situazioni legate al sommerso e al lavoro nero.

E il ruolo dei giovani?

I giovani secondo me possono essere coloro i quali possono ribaltare definitivamente le attuali situazioni stagnanti ormai da troppi anni. Confido molto sui giovani capaci oggi, rispetto al passato, di connettersi con tutto il mondo e confrontarsi con altre realtà, per riscoprire la bellezza e la ricchezza che si celano dietro ogni diversità.

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