Che cosa rappresenta per il cristiano di oggi il «tempo d’Avvento», cioè il periodo liturgico che la Chiesa pone, nell’arco di quattro settimane, prima della festa di Natale, preoccupata, però, di non perdere di vista l’altra venuta, quella finale, in cui il Cristo porterà il mondo e gli uomini al Padre e il Regno sarà realizzato in completezza? Qual è la risposta concreta ad una preoccupazione assillante della liturgia che mobilita profeti ed evangelisti, testimoni e poeti e li incastona in una sequela di testi per la celebrazione dell’Eucaristia in cui si sente un soffio di speranza aleggiare sul mondo?
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Per John Henry Newman il nome del cristiano è «colui che attende il Signore». Invece dobbiamo riconoscere che da secoli, in occidente, l’attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: «Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l’arrivo dell’autobus». Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l’Avvento. È il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto solo a tempo di preparazione alla festa del Natale! Non si comprende che l’Avvento è la chiave di tutto l’anno liturgico.
L’Avvento richiede la virtù dell’attesa: la cooperazione di chi vuole accorciare la distanza andando incontro «a colui che viene». C’è un richiamo che la liturgia incarna e modella, fa progredire e ribadisce, presenta e suggerisce. E l’attesa viene scandita, momento per momento, segnata sì dai giorni, ma più dal cuore, in un continuo, ripetuto, ritornello che dice: «Vieni». Non sono molto differenziati tra loro i testi liturgici dell’Avvento: la prima impressione potrebbe essere quella di una mancanza di fantasia da parte di coloro che hanno, dopo la riforma conciliare, proposto testi e letture. La ripetizione de[1]ve essere scoperta come un modo catechetico che fonda la preghiera e permette la contemplazione. La stessa quasi fissità degli schemi scava a fondo: basta lasciarsi portar per mano (mistagogia), affidandosi, cioè credendo e sperando.
Il tema dell'inizio dell'Avvento è uno solo: il Signore viene
Il tema all’inizio dell’Avvento è sempre uno solo: il Signore viene. Andiamogli incontro. Accogliamolo. Profeti, apostoli ed evangelisti, in modo convergente, creano questo clima di attesa. Tutto acquisterebbe un suono falso se alla base non ci fosse una consapevolezza: l’Avvento è sempre attuale. Cristo viene ora. Tutto è agganciato solidamente al presente. Da qui nasce il “realismo cristiano”, che consiste nel guardare le cose di questo mondo dal loro giusto punto di vista, anche il tempo della pandemia. Quest’anno l’Avvento si inserisce nel percorso sinodale di tutta la Chiesa, concretamente saper «camminare insieme» andando incontro al Signore, di domenica in domenica, di settimana in settimana, declinando la sinodalità attraverso alcuni verbi chiave dell’Avvento: vegliare, ascoltare, condividere. Questo significa avviare processi sinodali.
Così la sinodalità è generativa di una coscienza ecclesiale, di una fede pensata e motivata che ci rende protagonisti della vita e della missione della Chiesa. La sinodalità non si esaurisce perciò in un evento celebrato (un sinodo) ma deve essere lo stile quotidiano della Chiesa: camminare insieme, pastore e popolo di Dio, nel pellegrinare che la Chiesa tutta compie verso la venuta del Regno, in un dialogo che plasma quanti si ascoltano reciprocamente e crea solidarietà e corresponsabilità. Oltre tutto è il modo perché l’Avvento diventi un’esperienza concreta. Senso di cammino e di avvicinamento, di incontro e di accoglienza. Centralità dell’Eucaristia nello slancio verso il Regno goduto e posseduto, definitivamente, dopo l’ultima venuta del Signore.
La sinodalità nel cammino che ci porta a incontrare Gesù
Con quali atteggiamenti la Chiesa durante l’Avvento deve vivere concretamente l’accoglienza? Il primo modo di vivere l’accoglienza è l’ascolto, è diventare «uditori della Parola». La fatica e la bellezza di camminare insieme in modalità sinodale ci spinge a sviluppare in particolare in questo tempo la dimensione di preghiera comunitaria e di ascolto della Parola nelle nostre parrocchie al di fuori della Celebrazione Eucaristica ed immaginare le nostre comunità, con quali energie e risorse umane, con quale progetto di presenza attiva e di missionarietà si dovranno confrontare in futuro. Inoltre, l’accoglienza di Dio, ma anche l’accoglienza reciproca tra gli uomini inizia col saper ascoltare. Il cristiano è un uomo chiamato a porsi in ascolto di Dio e in ascolto degli uomini. Gesù stesso ce ne ha dato l’esempio. Le relazioni umane interpersonali sono regolate anzitutto dall’ascolto attento, disponibile, fattivo. L’accoglienza in Avvento è preghiera.
L’ascolto favorisce la nascita della risposta e così l’accoglienza di Dio diventa dialogo, diventa preghiera. I vangeli dedicano molta attenzione alla preghiera di Gesù e ci ricordano che egli ha vissuto i momenti più significativi della sua esistenza in colloquio col Padre. L’accoglienza è comunione nell’amore. La necessità che l’accoglienza diventi solidarietà e comunione nell’amore emerge anche dal pronome di reciprocità «gli uni gli altri», «a vicenda», che ricorre circa cento volte nel Nuovo Testamento. L’accoglienza è attesa e speranza. Dice papa Francesco che se anche quest’anno le luci del Natale saranno sommesse per le conseguenze della pandemia, che ancora pesa sul nostro tempo, a maggior ragione, siamo chiamati a interrogarci e a non perdere la speranza. Gli elementi autentici e positivi, anche se frammentari, che già sperimentiamo come dono, se li moltiplichiamo all’infinito ci lasciano un po’ intravedere la prospettiva della novità che Dio sta attuando.
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Dio sta rinnovando ogni cosa e, grazie all’amore effuso in noi dallo Spirito Santo, possiamo collaborare a questo rinnovamento, anche se esso rimane opera di Dio. Accogliere e vegliare nell’attesa di Gesù significa, dunque, dirgli che noi lo amiamo come il tesoro più caro della nostra vita. La normalità, il quotidiano hanno questo rischio: finiscono con il far perdere di vista la relazione con Lui, che dà senso alla nostra esistenza. Così il desiderio di lui, della sua presenza, viene soffocato dagli affanni e dalle incombenze di ogni giorno, non solo mondani ma spesso anche ecclesiali. Avvento è tempo per avvertire, forte, la nostalgia di Cristo.
* presidente della Comunità del diaconato in Italia