Avvenire di Calabria

Nei giorni scorsi ci siamo occupati di aziende sequestrate parlando con un amministratore giudiziario che ha presentato le criticità che incontra quotidianamente

Aziende sequestrate, Biondo (Uil): «Col metodo attuale, il 96% è fallito»

La proposta del segretario: «Studiare e sottoscrivere dei protocolli con i tribunali presenti sul territorio regionale al fine di istituire un tavolo tecnico istituzionale»

di Santo Biondo *

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Nei giorni scorsi ci siamo occupati di aziende sequestrate parlando con un amministratore giudiziario che ha presentato le criticità che incontra quotidianamente; oggi proponiamo una riflessione della Uil sull'argomento. Il punto di vista del sindacato, però, è diametralmente opposto.

Aziende sequestrate, la posizione critica della Uil

Quello delle aziende sottratte alla criminalità organizzata, soprattutto in Calabria, non è un destino florido. Spesso, purtroppo, dopo il sequestro e la successiva confisca queste imprese finiscono per fallire e lasciare sul tappeto nuovi disoccupati.


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Per questo, soprattutto in una terra come la nostra in cui è forte la presenza della criminalità organizzata e c’è una forte carenza di lavoro, è un tema che va affrontato con urgenza anche dalla politica nella sua declinazione territoriale. Il colpo alla tenuta economica e sociale della nostra regione è evidente.

Le aziende sequestrate e confiscate, questo è utile ricordarlo, sono un bene di tutti e se ben gestite, rappresentano una concreta opportunità di lavoro ed una risorsa da non sprecare, e su cui invece investire. Ad oggi, purtroppo, così non è. Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri ha lanciato da tempo il suo accorato allarme sulla tenuta delle aziende confiscate dallo Stato, mettendo in evidenza un dato drammatico: il 96% di queste imprese non resiste al mercato dopo la sottrazione alla guida mafiosa.

Un dato inaccettabile che evidenzia un fallimento. Il fallimento dello Stato nell’utilizzo a scopi sociali o produttivi dei beni sottratti alla criminalità organizzata. Un doppio fallimento, intanto di natura normativa e subito dopo squisitamente comunicativo perché quando un’azienda sottratta alla ‘ndrangheta chiude i battenti il messaggio che la società calabrese percepisce finisce per poter essere distorto: quando c’erano i boss si lavorava, si generava profitto e ora che a gestire tutto è lo Stato, quindi la legge, tutto va in malora.

Il sequestro e la confisca dei beni, la salvaguardia produttiva delle imprese sottratte a criminalità e mafie e la salvaguardia delle lavoratrici e lavoratori occupati, la concreta e tangibile affermazione di un lavoro con libertà e diritti, che nei fatti con le loro azioni le organizzazioni criminali negano, infatti, hanno un fondamentale valore, sia sul lato pratico che su quello simbolico.

Cosa fare quindi per evitare che tutto ciò accada, per evitare di lanciare un boomerang comunicativo che scalfisce l’immagine di uno Stato che è sempre dalla parte dei suoi cittadini onesti e laboriosi?

Intanto appare necessario mettere mano ad una riforma della normativa esistente, rendendola più confacente alle necessità di tenuta economica e finanziaria di queste aziende. In seconda battuta è necessario potenziare, dal punto di vista umano e strutturale, l’Agenzia nazionale per i beni confiscati per renderla in grado di tagliare i tempi di una burocrazia assai lenta per essere davvero utile al percorso produttivo dei beni sottratti alla criminalità organizzata. Ma questo, di certo, non può bastare.

Appare necessario creare un albo dei manager destinati alla gestione delle imprese confiscate alla criminalità organizzata.


PER APPROFONDIRE: Aziende sequestrate, Giordano: «Troppi mafiosi travestiti da imprenditori»


Queste imprese, infatti, hanno bisogno di una gestione professionale per non perdere la sfida con un mercato che non è più drogato dalla presenza dell’imprenditore mafioso. Ma non solo. Sarebbe opportuno creare una white list delle aziende confiscate per sostenerle sul mercato attraverso un meccanismo di acquisto sicuro, schermato dalla criminalità organizzata, che sia in grado di metterle in rete per proteggerle, renderle produttive ed evitare il rischio di ricadute occupazionali.

Infine, si potrebbe pensare - come già avviene in altre regioni italiane dove i sindacati, le associazioni di categoria e le altre istituzioni interessate hanno trovato la giusta sintesi - di studiare e sottoscrivere dei protocolli con i tribunali presenti sul territorio regionale al fine di istituire un tavolo tecnico istituzionale. Un organismo, infine, che sia operativo e in grado di analizzare al meglio il fenomeno e definire le migliori linee di azioni per appianare le problematiche delle aziende sequestrate e monitorare l’andamento della gestione e dello sviluppo produttivo delle imprese affidate agli amministratori giudiziari, con lo scopo di ridurre tempi di gestione dei sequestri e favorire lo sviluppo produttivo delle stesse.


* Segretario generale Uil Calabria

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