Avvenire di Calabria

Biotestamento, no al diritto alla morte

Le associazioni e la nuova legge, il punto

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Tra le associazioni del mondo cattolico, seppure con diverse sfumature, prevale la preoccupazione per il pericoloso concetto di “diritto alla morte” che la legge sul fine vita potrebbe introdurre in modo implicito ed esplicito nell’ordinamento nazionale. Più in generale, i commenti esprimono “profonda amarezza” per la scelta di dare priorità ad una norma che ha anche significati politici e di lasciare alla prossima legislatura, invece, provvedimenti più incisivi sul fronte del sostegno alle famiglie che accudiscono malati gravi. Non mancano riflessioni più ampie sulla difficoltà che il mondo cattolico ha avuto nello spiegare le proprie ragioni al Paese, alle altre culture e alle parti politiche.

“Per secoli si è tenuto in piedi il rapporto medico-paziente con la formula 'secondo scienza e coscienza'. Il medico deve avere la libertà di dire di non essere d'accordo. Questa legge toglie dignità alla professione medica. La vita non si norma", ha detto poco dopo il varo della legge don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio per la Pastorale della salute della Cei, interpellato dalle agenzie di stampa. Prima e dopo di lui, tante realtà laicali hanno detto la loro opinione.

IL PARERE NEGATIVO DEI MEDICI
Particolarmente rilevante la posizione dei Medici cattolici: “Manifestiamo preoccupazione e in alcuni punti anche contrarietà”, ripetono in un comunicato congiunto Filippo Maria Boscia e Giuseppe Battimelli, presidente e vicepresidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci). “Paventiamo – proseguono - soprattutto che il principio dell’indisponibilita’ della vita da assoluto possa essere ora in qualche modo relativo, prevalendo un’autodeterminazione del paziente, svincolata da un proficuo rapporto di cura con il medico, come si evince anche dall’utilizzo del termine ‘disposizioni’ al posto di ‘dichiarazioni’”.
Pertanto, si prosegue, “anche l’obiezione di coscienza non sembra esplicitamente enunciata nel testo come anche si evidenzia l’esclusione della possibilità di sottrarsi all’applicazione della legge da parte di strutture sanitarie private accreditate che hanno un codice etico difforme dai principi della legge stessa, costringendole a un’obbligatorietà che appare francamente incostituzionale”.
Infine, conclude l’Amci, “desta notevole difficoltà la definizione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale come trattamenti sanitari che si possono rifiutare o sospendere sempre e comunque e senza giustificazione alcuna, non tenendo conto delle condizioni cliniche dell’ammalato e se risultino utili ai benefici attesi. Perciò riteniamo che tutta la classe medica italiana debba in questo momento rinnovare il suo impegno, riaffermando la “prossimita’ responsabile” del buon Samaritano che è quella di accompagnamento, empatia e di non abbandono dell’uomo fragile ed ammalato”.

Va detto, tuttavia, che la sezione milanese dell’Amci, attraverso il dottore Alberto Cozzi, ha assunto una posizione diversa: “La legge è un onorevole compromesso che rispetta i dettami della Costituzione e la carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, rispetta l'autonomia decisionale del malato e al contempo l'autonomia professionale e responsabilità del medico e valorizza la relazione di cura nella forte alleanza terapeutica medico-paziente e familiari. Garantisce inoltre la libertà del malato, dice un no chiaro all'eutanasia e va ben oltre l'accanimento terapeutico. L'obiezione del medico non si pone perché il medico può disattendere le Dat quando sono palesemente incongrue".
A stretto giro di posta l'Amci nazionale risponde ai medici milanesi: "Prendiamo atto con rammarico della loro soddisfazione. Tuttavia la sezione Amci di Milano, con il suo numero esiguo di iscritti, rappresenta una condizione di marginalità".

LE PREOCCUPAZIONI DELL'ASSOCIAZIONISMO
Uscendo dall’ambito più strettamente medico, anche il Forum delle associazioni familiari, con poche righe abbastanza secche nel contenuto, condanna la scelta del Parlamento: “Si è fatta la scelta più semplice, confondendo cura del malato con accanimento terapeutico e introducendo di fatto l’eutanasia omissiva. Ben più utile ed efficace sarebbe stato offrire alle famiglie un aiuto nell’assistenza ai malati terminali. Ma come sempre le famiglie vengono abbandonate a se stesse nel gestire situazioni di dolore e di sofferenza con l’aggravante che l’impossibilità di obiezione di coscienza da parte dei medici mina, invece di favorire, il rapporto con il malato e con i familiari”.

Sul fronte giuridico, Alberto Gambino, prorettore dell’Università europea di Roma e presidente di Scienza e vita, evidenzia come l’esito del Senato risponda ad un “intento elettoralistico” che però si traduce “in una vera e propria eclissi della ragione, con sicure ricadute sociali". Gambino ricorda che “la stragrande maggioranza di medici, specialisti, oncologi, bioeticisti, giuristi, associazioni di cittadini auditi dal Senato (ben 37 su 42) hanno argomentato che il disegno di legge andava modificato”. Richieste inascoltate, e ora “saremo sommersi da slogan che inneggeranno alla vittoria dei diritti civili, quando invece saranno tutti gli italiani a subire il drammatico peggioramento delle prassi sanitarie italiane provocate dall'approvazione di questa legge”.
“Ora più che mai - conclude Gambino - è necessario che tutte le realtà che da sempre si assumono la cura delle persone più fragili e indifese si impegnino congiuntamente per scongiurare derive di abbandono terapeutico provocate dalla lettura autodeterministica di questa legge. Scienza & Vita è pronta a promuovere un tavolo di lavoro e di tutela insieme a organizzazioni e movimenti, società scientifiche e associazioni di categoria, ospedali e case di cura, pazienti e caregivers, giuristi e bioeticisti affinché nessuno possa mai essere prevaricato in nome di una legge che non ha voluto”.

In parte complementari i rilievi dell’Aisla, l’Associazione italiana sclerosi laterali amiotrofico”, che pur partendo da un’opinione favorevole al testo (“un passo avanti”) denuncia la carenza di fondi per l’assistenza domiciliare e familiare e ricorda che “un'assistenza domiciliare attenta e professionale è l'unico modo per non lasciare sole le persone e i loro famigliari davanti alla malattia”.

Annuncia battaglia, intanto, Pro vita, che con il presidente Toni Brandi assicura che “il 4 marzo – ipotetica data delle elezioni – ci ricorderemo dei politici e dei partiti che, prima alla Camera e poi al Senato, hanno voluto questa legge mortifera e nazista». Secondo Brandi, “Pd e M5S hanno legalizzato l’eutanasia in Italia”. Anche Massimo Gandolfini, leader del Family day e neurochirurgo, è molto critico verso la legge: “Un altro strappo ai valori antropologici che si fondano sul bene prezioso ed insostituibile della vita, aprendo la strada all’autodeterminazione per la morte. Accadrà che in un Pronto soccorso, in presenza di un ictus cerebrale o di un arresto cardiaco per infarto, il medico sarà obbligato non già a tentare di salvarlo e restituirgli la salute, bensi a conoscere se e dove il paziente ha scritto e depositato le sue Dat. Non avrà miglior sorte – continua Gandolfini - un neonato prematuro, per il quale chi gestirà la potestà genitoriale avrà la possibilità di pretendere che non venga alimentato per via artificiale, in previsione di possibili disabilità. E se il medico fosse contrario, si ricorrerà al giudice”. “Con questa legge – conclude Gandolfini - viene rotta l’alleanza di cura medico/paziente su cui la medicina si basa da migliaia di anni. Ma la sinistra aveva fretta di portare a casa una bandiera da sventolare in campagna elettorale. Ce ne ricorderemo”.
Stessi toni anche dal Centro studi Rosario Livatino: "Per uscire dal totalitarismo, subdolo ma reale, che manipola la vita, la seleziona geneticamente e ne dispone con arbitrio la fine, non sarà sufficiente il sostegno ai medici che rifiuteranno il ruolo di boia, né sarà sufficiente l’eventuale modifica delle norme più devastanti approvate oggi, come quella che impone l’eutanasia pure agli ospedali di ispirazione religiosa (i cui responsabili, salve rare eccezioni, sono apparsi silenti, se non proprio conniventi. Sarà indispensabile un lavoro, culturale prima ancora che politico, per riscoprire le basi antropologiche dell’ordinamento, per scongiurare il suicidio di una Nazione di zombie, nella quale ogni anno il numero dei morti supera largamente quello dei nuovi nati".

Il punto di vista dei genitori è espresso invece dall’Agesc, che esprime "viva preoccupazione per il destino dei bambini malati, affidato ad una legge che impedisce l'obiezione di coscienza dei medici e penalizza malato e famigliari. Come genitori viviamo una dolorosa incertezza, a causa delle contraddizioni che la legge non risolve e che si presentano puntualmente nei Paesi in cui l'eutanasia è già una realtà", scrive il presidente Roberto Gontero.

Il provvedimento preoccupa anche le realtà di cura. Giovanni Ramonda, presidente della Comunità papa Giovanni XXIII, parla di “fretta ed errori” nella legge. “Il considerare l'idratazione e la nutrizione artificiale come terapie, l'ambiguità sull'obiezione di coscienza, il ruolo dei tutori sono elementi che rendono questa legge sbagliata – prosegue -. Non esiste un diritto alla morte ma solo un diritto alla vita. Ci auguriamo che la prossima legislatura possa porre rimedio agli errori fatti».

Con un articolo sul proprio sito, anche la Presidenza nazionale dell’Azione cattolica italiana ha detto la sua sulla legge: “Si tratta di un testo che introduce un’accezione estensiva del concetto di terapia e non concorre, invece, a rafforzare la centralità della relazione tra medico, paziente e altri soggetti coinvolti, rischiando di rendere le cose più complesse, invece che più chiare”.
Per l’Azione cattolica, ora, serve una riflessione più ampia: “C'è bisogno di far crescere un dialogo serio tra le diverse culture e le differenti tradizioni politiche che abitano la nostra società sul modo con cui concepiamo la vita e la morte, la malattia e la cura, la libertà e la responsabilità di ciascuno. E questo ci chiede anche di domandarci se in questi anni abbiamo saputo, da credenti impegnati nel mondo, trovare parole, gesti e occasioni per argomentare la convinzione profonda che la vita non è (solo) nostra, non è un bene disponibile, non appartiene (solo) a noi stessi, ma quantomeno, per chi non crede, a tutta la trama di relazioni personali e sociali che le danno forma”.
L’Ac si chiede, infine, “se e come sapremo fare del passaggio rappresentato da questa legge non una ragione di scontro ideologico ma l’opportunità per cercare di nutrire il nostro tempo con i dubbi, le speranze e le convinzioni che nascono da una concezione di bene radicata nella ragione e illuminata dalla fede”.

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