Avvenire di Calabria

Affacciata sullo Stretto, oggi è tra le comunità parrocchiali più grandi del territorio della diocesi di Reggio Calabria - Bova

Campo Calabro, storia e devozione dal 1600 ai giorni nostri

Risale al diciottesimo secolo la nascita ufficiale dell'attuale parrocchia intitolata a Santa Maria Maddalena

di Renato Laganà

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Sul pianoro che risale il terrazzo che sovrasta la marina del Cenideo, oggi sorge Campo Calabro. Centro la cui storia è legata alle terre che affiancavano l’antico percorso della via Annia Popilia romana, che poi nei secoli successivi divenne strada Consolare.

Il nome Campo Calabro può essere riconducibile alla presenza di un antico monastero basiliano - come ha ipotizzato il professor Domenico Minuto - denominato Santa Maria del Campo. Era probabilmente sito nella parte superiore del terrazzamento verso l’attuale Matiniti superiore. Il «Brebion» della metropoli bizantina, risalente all’undicesimo secolo indica un monastero intitolato alla «Santissima Madre di Dio del Campo Superiore che possedeva numerose fattorie nell’area reggina».

Campo Calabro e la storia della parrocchia

Nello stesso testo si fa riferimento ad un altro monastero basiliano detto «di Arcaditzi, della santissima Madre di Dio di Mirtillo», circondato da campi agricoli organizzati, sul quale l’indagine del professor Minuto si confronta con altre documentazioni redatte nei secoli successivi per arrivare alla fine del sedicesimo secolo. Compresa nell’ambito parrocchiale della chiesa arcipretale di Fiumara di Muro, la produttiva area agricola, al cessare delle incursioni dei turcheschi, vide, nel corso del diciassettesimo secolo l’addensarsi della popolazione nel luogo detto Lo Campo in prossimità della Chiesa di Santa Maria Maddalena.


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Questa era di «ius patronato» degli eredi di Natale Polimeno che garantivano al sacerdote Antonino Cagliostro, il necessario per poter celebrare la messa nelle domeniche e nei giorni festivi, oltre a tre messe settimanali in suffragio del benefattore. Distaccata dalla parrocchia di Fiumara di Muro, essa venne compresa nel 1634 nella nuova parrocchia di Santa Maria dell’Itria di Rosalì.

Altre notizie vengono riportate nella relazione della visita pastorale fatta dall’arcivescovo Ybanez da Villanova nel 1692. Nel visitare la chiesa sita nella località La Fontana, il presule la citava come fondata da don Cesare de Aragona, richiedendo alla Comunia dei Sacerdoti di Fiumara di garantire la presenza di don Francesco Manglaviti per le celebrazioni liturgiche. Ybanez raccomandò, inoltre, che fosse sistemato l’altare e che fosse dotato dei sacri arredi.

Campo Calabro e la storia delle sue chiese, la nascita della prima parrocchia

Nel 1701, essendo aumentata la popolazione, l’arcivescovo Giovan Andrea Monreale la eresse a parrocchia. Nella sua visita pastorale del 18 settembre, nell’ispezionare la Parrocchia di Santa Maria Maddalena, posta nella contrada del Campo, ordinò al parroco di realizzare il tabernacolo per custodire il sacramento della Santissima Eucarestia davanti la quale dovevano essere disposte le lampade, e di provvedere parimenti al fonte battesimale ed a quanto necessario per amministrare il Sacramento con tutti i fedeli.

Monsignor Morreale indicò, quindi, con atto del notaio apostolico della «Santa Visita», don Felice Martirano, l’ambito della parrocchia sotto il titolo di Santa Maria Maddalena del Campo. Nel documento così venivano definiti i confini: «incominciando da Nord dalla casa di Bernardo Salimi, proseguendo verso l’alto per il vallone di Santa Veneranda sino a comprendere le case di Musalà, poi sino al confine di Mantima, ossia il limite baronale di Fiumara in linea diretta, sino alla Torre, camminando lungo il lido del mare sino alle case dette di Aquarello escluse, e oltrepassando le predette case, e camminando per il detto vallone in linea diretta includendo le case di Giovanni Domenico Calabrò e Sebastiano Lo Faro per terminare al luogo detto La Guardiola del Serro delle Ginestre del Fosso, ed a detta Guardiola girando verso il basso nella direzione del fiume sopra i beni di Francesco Stella, e proprio nel piccolo vallone, dove si dice vicino al fiume girando verso l’alto per terminare alla detta casa dotale di Bernardo Galimi».

I confini territoriali della comunità parrocchiale nel 1701

Il territorio della neo parrocchia comprendeva, entro i suoi confini che si estendevano per circa undici miglia, diversi nuclei abitati, con 1020 anime e 220 focolari (nuclei familiari). Nel suo territorio erano comprese «la chiesa di San Giovanni della Fossa, la chiesa di San Francesco Saverio della Compagnia di Gesù in contrada Cannatello, la chiesa di San Pietro detta di monsignor Diano».

Per garantire il culto venne fissata la congrua del parroco derivante da un contributo annuo di «sei carlini per nucleo familiare, e dalle vedove carlini quattro, oltre alle quote delle offerte relative all’amministrazione dei sacramenti».

Curiosità e aneddoti, la storia di Campo Calabro raccontata dai registri parrocchiali

I registri parrocchiali compilati dal parroco Caracciolo nei primi anni del Settecento ci consentono di conoscere la realtà parrocchiale. Dal primo registro dei battesimi a noi pervenuto, redatto tra il 1720 e il 1739, si rileva che il primo ad essere registrato fu il piccolo Natale Bruno Coppula (26 dicembre 1720). L’andamento del numero dei sacramenti amministrati annualmente vede il tetto minimo nel 1725 con quarantanove battesimi e il massimo nel 1727, quando furono amministrati ottantacinque battesimi. In questo arco temporale, si rileva subito un dato particolare nella indicazione dei padrini e delle madrine.

Il “terrazzo” di Campo Calabro visto da Sud in una immagine risalente al 1974

Tra il 1920 e il 1736 Antonino Giunta, fu Domenico e fu Domenica Idone, fece da padrino a 160 bambini e la madrina più prescelta dai genitori fu Lucrezia Calarco fu Giovandomenico di Fiumara di Muro, che ne battezzò 155. Nel registro dei matrimoni, il primo ad essere registrato, il 3 ottobre 1702, fu quello tra Antonino Lofaro e Paola Sciarrone che ebbero per testimoni Michelangelo Stilo da Fiumara, Domenico Milana e Anna Foti. Successivamente furono celebrati otto matrimoni nel 1703 e, nei decenni successivi, una media di sette matrimoni per anno.

Nel registro dei defunti le prime registrazioni furono quelle di una donna di cinquantacinque anni, Vittoria Coppula, i cui funerali furono celebrati il 27 aprile 1702, e di Francesco Muiolo di sessant’anni), indicato come «pellegrinus ignotus», la settimana successiva.

Le indicazioni seguivano poi quanto stabilito nei sinodi diocesani, con l’indicazione manifesta dell’età. Ciò ci consente di notare come anche a Campo diversi individui superarono il novantesimo anno di età. C’è anche un centenario. Si tratta di Antonio Chirico fu Diego (deceduto il quattro aprile del 1701), il quale raggiunse il centesimo anno di età.

Tra il 1738 e il 1749, anni in cui fu parroco don Antonio Carnovale, appare uno strappo alle regole di compilazione, non risultando più segnata l’età ma semplicemente l’indicazione della classe di età: «puer», «adolescens», «juvenis», «senex» e persino «decrepito»

Campo Calabro nel diciottesimo secolo, la storia della Congregazione di Sant’Antonio

Nel 1757 l’arcivescovo Domenico Zicari giungeva in visita pastorale nella parrocchia di Santa Maria Maddalena di Campo, accolto da don Giuseppe Carnovale che lo ospitò nella notte. Il giorno successivo il presule si portò presso la chiesa parrocchiale dove celebrò il rito pontificale ispezionando, al termine, il tabernacolo della Santissima Eucarestia che trovò soddisfacente.

Incontrò poi il clero che risiedeva nella parrocchia e che era composto dal parroco don Domenico Musco, dai sacerdoti don Apollinare Carnovale, da don Antonio Gerace, da don Giovanni Gerace, da don Natale Stilo, da don Domenico Iannolo, da don Lorenzo Cavo, da don Michele Angelo Stilo, da don Giovanni Zangara, dal diacono Antonio Galime, dai chierici Placido Gerace e Raffaele Tedesco e dai novizi Bernardo Galime, Rocco Nostro, Giovanni Gerace e Lorenzo Cama.

La parrocchia contava allora 530 «focularia», ossia nuclei familiari, segno di una crescita della popolazione che rispetto all’inizio del secolo si era raddoppiata. Il terzo giorno visitò la chiesa che era intitolata a Santa Maria Maddalena che trovò ben sistemata, portandosi poi verso il fonte battesimale, sito all’ingresso sul lato sinistro, per il quale raccomandò il rivestimento interno del ciborio con un panno di seta.

Trovò, inoltre, l’altare dedicato a Sant’Antonio di Padova «decente». Presso quell’altare operava la Venerabile Congregazione di Sant’Antonio di Padova, fondata con Decreto reale di Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, nell’anno 1753. I confratelli, nel 1767, avanzarono richiesta al Sovrano per l’approvazione delle Regole.

La nascita della parrocchia di Cannitello

Intanto, nell’anno 1761, completata la costruzione di una nuova chiesa, i fedeli di Cannitello ottenevano dall’arcivescovo Testa Piccolomini l’autonomia dalla parrocchia di Campo che era difficile da raggiungere dal piccolo centro rivierasco.

Non bastò il ricorso del sacerdote Domenico Musco, parroco di Campo, per fermare la procedura avviata già dall’arcivescovo Zicari e proseguita con l’arcivescovo Polou, come riporta una corrispondenza del 25 gennaio 1762, redatta in lingua spagnola, del Governatore politico di Reggio, conservata presso l’archivio diocesano.

Campo Calabro e il terremoto del 1783

Come per gli altri centri della arcidiocesi reggina anche Campo ebbe a subire danni dal terremoto del 5 febbraio 1783. Sotto le rovine persero la vita, come risulta dal registro parrocchiale dei defunti, Vincenza Idone, di 65 anni; Pietro Repaci, di 40 anni; Giacomo Sidari, di 35; Vincenza Repaci, di 70 anni; Vincenzo Marra di 56 e il sacerdote Giuseppe Carnevale, all’epoca quarantenne. Due mesi dopo venne a mancare anche il parroco, il sacerdote Pasquale Barillà.

Il numero degli abitanti di Campo raggiunse, comprese le contrade, in quegli anni la cifra di 1905 unità. I danni del terremoto, secondo il Grimaldi, ammontarono a 70 mila ducati. Nel «Piano generale delle parrocchie del Ripartimento di Reggio» rilevato dal conto «dell’Ingegniere Direttore D. Gio. Batt. Mori rimesso in data de’ 2 novembre 1787» la perizia dei danni stimava in 311,60 ducati il costo degli interventi necessari per restaurarla.

Venuta meno la nuova localizzazione del centro di Fiumara «nel Campo», il Piano generale delle parrocchie, redatto dal Marchese di Fuscaldo, nel tener conto dei proventi derivati dal possesso di beni, classificava la parrocchia come «bollale», cioè con proventi destinati ad estinguersi nel tempo. Non vennero proposte quindi compensazioni economiche con altre realtà parrocchiali e la congrua da assegnare al parroco restava quella di prima. Essa era costituita, come risulta dallo Stato dei beni al 1824, da censi bollali versati annualmente, spesso in ritardo, da individui che risiedevano in Campo, in Fiumara, in Reggio, in Rosalì, in Catona, in Musalà, in San Cono e in San Roberto.

Nel 1788, l’elezione del nuovo parroco

La morte del parroco aveva tuttavia creato la vacanza nella parrocchia e, a fronte della necessità di avere una guida spirituale, i parrocchiani insieme al Duca di Bagnara, «come primo cittadino», che assicuravano con i loro versamenti la congrua, indicarono come nuovo parroco don Francesco Caprì, affermando il loro diritto ad esprimersi in quanto garanti della stessa. Egli prese formale possesso della parrocchia il 18 gennaio 1784 ma non venne riconosciuto dagli Ispettori della Cassa Sacra che richiesero l’espletamento del concorso come previsto dalle Norme.

Il 9 maggio 1788, don Caprì, risultato vincitore del concorso riprese il possesso della parrocchia. Il Marchese di Fuscaldo nella sua relazione suggeriva di affiancare al parroco un «economo coadiutore» indicando don Giacinto Geraci «pel gran numero delle anime». In quell’anno, infatti, il numero degli abitanti della parrocchia era salito a 2463 anime che, tuttavia, si ridussero a 1646 con la formazione, l’anno successivo, della nuova parrocchia di Fossa (attuale Villa San Giovanni).

La contesa tra francesi e borbonici condiziona la scelta dei parroci

I primi anni dell’Ottocento furono difficili per il territorio di Campo, interessato dall’acquartieramento dei soldati francesi che vi stazionarono per il controllo dello Stretto, vista la posizione dominante verso Messina nella quale era attestato l’esercito anglo borbonico. In quel periodo nella parrocchia si registrò un avvicendamento dei parroci.

Nel 1806 a don Francesco Caprì, fuggito in Sicilia durante l’occupazione francese, subentrò don Giannantonio Galimi che resse la parrocchia fino al 1815, quando con decreto reale il vecchio parroco venne reinsediato e premiato dal Principe Ruffo della Scaletta, Intendente di Reggio, con un «proporzionato compenso» per la fedeltà manifestata al sovrano borbonico.

Poi fu la volta di don Vincenzo Geraci sino al 1824 quando venne nominato nuovo parroco don Antonino Pellicano. Il 4 maggio 1820, l’arcivescovo Tommasini visitò la chiesa di Musalà «sotto il titolo del Carmine», di cui era cappellano don Francesco Idone, nella quale si venerava un «quadro grande di Maria del Carmine con San Emiddio e San Gregorio», riportando nella sua relazione l’inventario degli oggetti e paramenti sacri di cui disponeva. Nel 1828, il clero presente a Campo, oltre ai sacerdoti citati, era costituito da don Giovanni Geraci, don Francesco Galimi e don Giuseppe Pensabene, oltre al diacono don Giuseppe Falena ed ai novizi Filippo Arena, Carlo Galimi, Luigi Ranieri e Antonino Musarella.

Campo Calabro, storia della parrocchia di Maria Maddalena a metà ottocento

Lo stato in cui si trovava la chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena in Campo Calabro a metà Ottocento venne descritto in una relazione inviata il 31 agosto del 1851, da don Rocco Bambara, parroco fino al 1870, al vicario foraneo del tempo, don Domenico Colosi.

L’edificio sacro, secondo quanto riportato sul documento, era ad unica navata (grande all’incirca 7 metri per 14). Sul campanile, inoltre, erano collocate due campane: una pesava un quintale, mentre l’altra due. Spostandosi al suo interno, vi erano, oltre all’altare maggiore con il quadro della titolare, altri due altari: uno dedicato a Sant’Antonio di Padova di cui a prendersene cura era l’omonima congrega e l’altro intitolato, invece, all’Addolorata.

La relazione riportava l’elenco degli arredi sacri (due sfere d’argento, tre calici, incensiere e navetta d’argento, una pisside e un reliquario «con reliquia della titolare»), dei paramenti (dieci pianete di vari colori, due piviali, otto camici, altrettanti corporali e otto tovaglie d’altare), due statue lignee, una della titolare e l’altra della Congrega di Sant’Antonio e altri apparati in dotazione della chiesa.

Il 15 maggio 1853, il vescovo Ferrigno, amministratore apostolico dell’arcidiocesi reggina tra il 1851 e il 1855, visitò Campo, ispezionando i paramenti della chiesa parrocchiale che necessitavano di restauri e integrazioni. In quella circostanza, raccomandò che venisse sistemato anche l’ostensorio. Si soffermò poi presso l’altare di Sant’Antonio di Padova dove la porticina del tabernacolo era difettosa e aveva bisogno di un intervento funzionale, suggerendo di rivestire l’interno.

Campo Calabro e la storia delle altre chiese presenti nell’800

Nell’altare della chiesa di San Lorenzo, di “ius patronato” della famiglia Pensabene e in quella delle Anime del Purgatorio, monsignor Ferrigno richiese venisse assicurata, oltre alla pulizia dell’altare, anche quella del tabernacolo. Completata questa prima ispezione, si portò quindi in Musalà, nella chiesa della «Virginis de Monte Carmelo».

Qui, il vescovo Ferrigno raccomandò di sistemare i fori delle grate del confessionale e di fissare bene la pietra sacra dell’altare nel quale sospese le celebrazioni sino a quando non sarebbe stato sostituito il messale e collocati i purificatori alla distanza prescritta dalle norme liturgiche. In quel periodo il sacerdote Antonino Galimi aveva istituito una cappella serotina per incontrare la popolazione e discutere su casi di morale.

Nel 1854, il signor Giuseppe Adorno con atto del notaio pasquale Oliva fondava in una sua proprietà, sita il Milea, una cappellania intitolata a San Giuseppe, richiedendone l’approvazione all’amministratore apostolico.

La visita pastorale dell’arcivescovo Ricciardi

Cinque anni dopo, nel corso della visita pastorale alla zona Nord della diocesi, l’arcivescovo Ricciardi raggiunse Campo. Le indicazioni contenute della relazione della visita riguardano ancora la funzionalità degli spazi e degli arredi liturgici e, in particolar modo «l’accomodo di alcuni Missali», la sostituzione dei vasetti degli oli santi in rame con altri di stagno, la copertura del fonte battesimale con un tessuto bianco e la dotazione di un crocefisso «per uso degl’infermi».

Proseguendo la visita trovò la chiesa di San Lorenzo, del signor Pensabene, in cattivo stato e «mancante degli utensili sacri nella maggior parte». L’arcivescovo raccomandò «al cennato padrone di metterla in buono stato e di fornirla di tutto quanto necessario per decentemente funzionare». La chiesa del Carmine in Musalà risultava in buono stato «tanto per la fabbrica ed ornamento della chiesa quanto pei sacri arredi».

Nel 1870, all’interno della chiesa parrocchiale, venne innalzato «un mausoleo pei loro defunti fu Sig, D. Giuseppe Adorno e fu D. Pasquale» sul quale furono collocati due medaglioni in memoria degli stessi. Alla guida della parrocchia si alternarono in quel periodo il cappuccino secolarizzato padre Rocco Pontoriero (1870-1873), don Giuseppe Delfino (1873-1874) in qualità di economo, don Rocco Marra (1874-1875) i cui brevi mandati testimoniano le difficoltà causate da comportamenti per i quali «non si è detto mai bene nel paese».

Campo Calabro sul finire dell’800

Nel 1876, vinse il concorso per parroco don Luigi Panuccio, ordinato sacerdote dal cardinale Costantino Patrizi a Roma nel 1865. Egli resse la parrocchia sino al 1884, anno in cui venne trasferito alla prepositura della Cattedrale di Reggio Calabria. L’anno successivo, tra le risposte della visita al clero fatta dall’arcivescovo Francesco Converti, emergono le difficoltà derivanti dalle morosità sulle rendite parrocchiali che non consentivano la copertura delle spese.

Il suo impegno parrocchiale era stato subito rivolto alle Congreghe presenti, alla «fabbriceria di Santa Maria Maddalena per lo culto della Chiesa parrocchiale» ed alla costituzione dell’Associazione al Sacro Cuore di Gesù che, sull’esempio di quella creata dalla Serva di Dio suor Maria Bernaud del Sacro Cuore in Francia, in quegli anni iniziò a diffondersi in Italia ad opera dei padri camilliani.

Nel corso della visita fatta alla parrocchia, il 25 gennaio 1877, il presule ispezionò le condizioni dell’altare maggiore, degli altri altari, il sacello del Pio Sodalizio, i confessionali, le vasche con l’acqua benedetta e la torre campanaria. Quanto raccomandato nelle visite precedenti non era stato tutto portato a compimento e restavano da sistemare ancora la pietra sacra dell’altare maggiore, i vasi degli oli sacri, una acquasantiera ed alcuni paramenti.

Il vescovo raccomandò, inoltre, al parroco di sollecitare il Comune di Campo Calabro affinché avviasse il restauro della chiesa. Raggiunse poi la chiesa di Musalà quella di San Lorenzo dei Pensabene e gli oratori privati delle famiglie Adorno, Ranieri, e quelli dei sacerdoti Galimi e Gerace. Presso l’oratorio di quest’ultimo, che si presentava in cattive condizioni, monsignor Converti impose che venisse restaurato l’altare della Pietà, sistemato il tabernacolo e restaurate le pareti e il tetto entro quattro mesi, pena l’interdizione. Negli altri necessitavano alcuni paramenti sacri e piccole sistemazioni negli altari.

Campo Calabro e i violenti terremoti del 1894 e del 1908

Nel gennaio 1885, il nuovo parroco don Giuseppe Santagati, accompagnato dal vicario foraneo don Gregorio Giordano, prendeva possesso della parrocchia. Nove anni dopo, il centro di Campo fu duramente colpito dal terremoto del 16 novembre del 1894. Riportano i documenti del tempo: «solo venti case non ebbero danni.

Terremoto del 1908, la chiesa di Santa Maria Maddalena rasa al suolo

Duecentosessanta ebbero lesioni notevoli e le coperture ridotte in cattivo stato; sessanta gravemente lesionate, settanta in parte diroccate». La chiesa parrocchiale subì alcuni danni. Evidenti, in particolare, le lesioni profonde che interessarono le pareti.

Subito dopo quell’evento, negli anni successivi, furono effettuate le riparazioni, ma non riuscirono a ricompattare e rinforzare le strutture murarie. L’insuccesso di quel tipo di intervento si constatò quattordici anni dopo, quando le pareti della chiesa si sbriciolarono insieme all’alto campanile a causa del violento terremoto del 28 dicembre 1908 che provocò distruzione e morte tra le due sponde dello Stretto.

Storia di Campo Calabro, la ricostruzione dopo il sisma del 1908

Pochi mesi dopo il violento terremoto del 28 dicembre 1908, Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, visitò Campo Calabro e Fiumara. Erano i primi giorni di marzo del 1908, quando il Duca d’Aosta venne accolto dalla popolazione che gli rivolse «una viva raccomandazione per la costruzione di baracca ad uso di chiesa».

Il nobile di casa Savoia, nei giorni successivi, provvide ad inoltrare, attraverso il suo primo aiutante di campo, una segnalazione al prefetto di Reggio Calabria (conservata tra i documenti dell’Archivio di Stato) per la costruzione di padiglioni che potessero servire da luoghi di culto temporanei. Ma già a Roma, sopperendo ai ritardi dello Stato ed accogliendo le istanze dei vescovi delle zone colpite dal sisma, il Santo Padre Pio X, si era dato da fare per assicurare alle chiese terremotate gli oggetti sacri (paramenti, calici e vasi sacri, libri liturgici e tovaglie) inviando oltre trenta casse a Reggio, ventuno a Mileto, tre a Gerace, quattro a Bova, tre a Oppido Mamertina, due a San Marco Argentano e Bisignano ed una a Nicotera e Tropea.

Il Papa provvide inoltre ad acquistare strutture prefabbricate in legno, rivestite in lamiera, della ditta inglese “Mac Mhanus” che, a seconda del numero degli abitanti, avevano dimensioni e planimetrie diverse. Esse si erano rivelate, nel confronto con altre tipologie prodotte in quel periodo, come ebbe a scrivere il Conte Roberto Zileri Alvernes, «per evitare i pericoli sismici e le burocratiche difficoltà di una costruzione stabile e ancora per evitare l’impiego di materiali prevalentemente locali e per offrire delle strutture che, nel tempo stesso, se ben costruite e ben mantenute, potessero garantire una durata di circa un trentennio».

Oltre al citato Conte, il Papa inviò in Calabria, a seguire le operazioni monsignor Emilio Cottafavi che si avvalse della collaborazione sul luogo del sacerdote Giuseppe Zumbo per la costruzione di 208 chiese, di 153 case canoniche e altre costruzioni a supporto delle attività sociali.

Storia della ricostruzione, la chiesa baracca di Campo Calabro

La chiesa baracca di Campo era ad unica navata e capace di ospitare sino a 500 persone. Essa venne solennemente inaugurata l’8 dicembre 1909, festività dell’Immacolata, con una solenne celebrazione officiata dal parroco su delega del vicario episcopale.

Il settimanale diocesano «Reggio Nuova» del 18 dicembre, evidenziò che «la funzione si svolse colla massima solennità e nell’esultanza del popolo che gremiva la chiesa e che numeroso si accostò alla mensa eucaristica». Erano anche presenti «i tenenti comandanti il presidio di Campo e tutte le autorità cittadine» che si congratularono con il parroco per aver arricchito la chiesa di «artistici altari».

Il 26 luglio 1915, a seguito della morte di don Giuseppe Santagati, parroco per oltre trent’anni, avvenuta nel mese precedente, venne nominato economo-curato del beneficio parrocchiale di Santa Maria Maddalena in Campo di Calabria, il sacerdote Salvatore Gioffrè. Il 29 ottobre dello stesso anno, venne bandito il «concorso canonico» per la scelta del suo successore, invitando a partecipare i sacerdoti «idonei e nella possibilità di farlo».

La lunga riedificazione della chiesa parrocchiale

La scelta ricadde sull’economo-curato che guidò la parrocchia sino al luglio 1926, poi lasciata a seguito del suo trasferimento alla parrocchia di Santa Maria e i XII Apostoli in Bagnara. A seguito di un nuovo concorso, pubblicato dall’arcivescovo Carmelo Pujia, venne designato alla guida della parrocchia il sacerdote Rocco Barbera che la resse sino al dicembre 1934, sostituito poi dal sacerdote Gaetano Cotroneo.

L’attenzione alla ricostruzione della chiesa venne sollevata nel 1916, negli anni successivi alla Prima guerra mondiale, con un intervento del Comune che volle affidarne la gestione all’Unione edilizia nazionale. Il reperimento delle risorse economiche necessarie ritardò i tempi e si rese necessaria la inclusione nel programma generale di ricostruzione delle chiese portato avanti dall’Opera interdiocesana per poter attingere ai contributi governativi erogati in parte dal Ministero dei Lavori Pubblici, da quello dell’Interno e dalla Diocesi.

La "nuova" chiesa parrocchiale di Campo Calabro come si presentava prima dell'ultimo ampliamento

Il progetto comportava un impegno finanziario di 548.300 lire con oneri di esproprio di 15.953,34 lire e spese tecniche per 11.500 lire. Sul progetto iniziale vennero sollevate alcune osservazioni tendenti all’adeguamento della spesa e al rispetto della normativa antisismica che caratterizzarono le modifiche curate dall’ing. Benvenuto Caletti dell’Ufficio Tecnico Interdiocesano. Il contributo ottenuto dal Ministero dei Lavori Pubblici ammontò a lire 274.150,00 e quello del Ministero dell’Interno a lire 91.383,33. Il nulla osta per l’inizio dei lavori, a seguito del parere del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, numero 2763 del 19 dicembre, venne rilasciato nel 1928. I lavori furono affidati all’Impresa Francesco Greco di Campo Calabro che in quel periodo curò anche la ricostruzione delle chiese di Salice, Fiumara, Milea e Piale.

I lavori edilizi, avviati nel 1930, furono completati nel 1934 per l’impegno costante del parroco sacerdote Rocco Barbera. L’anno successivo, il pittore oppidese Domenico Mazzullo, allievo degli artisti Francesco Jerace e Vincenzo Jerace, eseguiva la pala d’altare raffigurante Santa Maria Maddalena. La chiesa venne aperta al culto nel 1935.

Nel 2008, l’ampliamento della Chiesa Madre

L’impianto planimetrico della chiesa era di forma rettangolare (10 metri per 22) a navata unica chiusa da un’area presbiteriale di forma quadrata. Sul lato interno della facciata si sviluppava la cantoria e l’aula era ripartita in quattro campate strutturali con due aperture mediane. Sui lati erano disposti gli altari devozionali, tra i quali quello proveniente dalla chiesetta patronale di San Lorenzo, donato dalla famiglia Pensabene. Lo stile architettonico, ancora leggibile nella parte centrale della facciata, si rifaceva ai canoni del neoclassicismo nelle due lesene che sorreggono la trabeazione su cui si appoggia il timpano ed all’interno delle quali il portone di ingresso è inserito in un arco.

La crescita del centro urbano e l’aumento della popolazione resero inadeguata la chiesa alla partecipazione. Nel 2008, si registrava un altro evento importante per la storia della chiesa parrocchiale di Campo Calabro: il parroco don Antonino Palmenta, avviava i lavori di restauro ed ampliamento della chiesa parrocchiale, progettati dall’architetto C. Bevacqua, che prevedevano l’aggiunta delle navate laterali e, sul lato occidentale, la cappella feriale ed un piccolo auditorium parrocchiale. Nel giugno 2009 l’arcivescovo Vittorio Mondello consacrava la nuova struttura architettonica.

Campo Calabro, la storia degli edifici di culto voluti dai devoti

Sul margine del pianoro andando da Campo Calabro verso Piale, nella piccola frazione il cui nome lega le due località si trova la chiesa dedicata a San Giuseppe. La sua storia è recente e le sue origini sono legate al desiderio della popolazione per avere un luogo di preghiera vicino alle case ed all’impegno generoso del sacerdote Santo Scopelliti, nativo del luogo, allora parroco della Chiesa del Rosario nella vicina Villa San Giovanni.

La chiesa di San Giuseppe

Egli si adoperò per reperire il suolo su cui costruire la chiesa ottenendo in dono un terreno che apparteneva alla famiglia Calabrò che era emigrata in America. Il carteggio relativo alla costruzione della chiesetta di San Giuseppe, custodito nell’archivio diocesano di Reggio Calabria - Bova, conserva un documento del 19 agosto 1948 con il quale venne evidenziata la necessità della realizzazione dell’opera. Documento, a cui fanno seguito una «Relazione generica e relazione tecnica», sempre dell’agosto 1949, che ne definiva le dimensioni e le caratteristiche, la planimetria generale con la «pianta cementi armati, la sezione longitudinale, la sezione trasversale e la pianta» e, nel marzo 1950, i disegni del «Prospetto e fianco» a firma dell’ingegnere Vincenzo Crea.

Ottenuta l’approvazione, con il consenso del parroco di Capo Calabro, il sacerdote Gaetano Cotroneo, venne avviata una raccolta di fondi tra la popolazione del luogo alla quale parteciparono anche alcune famiglie emigrate in località lontane. Per l’esecuzione dei lavori la scelta ricadde sull’impresa Pratticò che «fornì gratuitamente i materiali, con lo straordinario contributo della popolazione locale». I lavori furono, invece, avviati nel 1953, anno della posa della prima pietra. L’anno successivo, il 24 gennaio, don Santo perdeva la vita in un tragico incidente sulla via Marina di Reggio. I lavori si fermarono soltanto per qualche giorno.

La chiesetta di San Giuseppe di Piale di Campo Calabro

Solo grazie all’impegno di alcuni familiari del sacerdote, il fratello Rocco ed il cugino Giuseppe Idone, i lavori vennero ripresi con il sostegno della popolazione e portati a termine. Finalmente, nel 1956, l’arcivescovo del tempo, monsignor Giovanni Ferro consacrò la nuova chiesa. Negli anni seguenti, la chiesetta intitolata a San Giuseppe venne ampliata, in quanto troppo piccola per accogliere un ampio numero di fedeli. Vennero, così, realizzati gli spazi del coro e dell’annessa piccola sacrestia.

Negli anni Ottanta, il parroco don Antonino Palmenta si rese artefice del restauro della copertura a tetto e del rifacimento della facciata su cui si intervenne, con altre opere di finitura, nel 1996 e nel 2002. Qualche anno dopo, nel 2013, furono collocate anche delle vetrate artistiche.

La chiesetta di Ognissanti

Più a monte del centro urbano di Campo Calabro, nella parte alta dei «campi», è sito il villaggio di Matiniti in prossimità delle due fortezze militari che dominano lo Stretto di Messina. Anche qui, il desiderio dei residenti di poter avere un luogo di preghiera vicino casa, si concretizzò grazie all’impegno del parroco don Gaetano Cotroneo e del consenso di monsignor Ferro. Ottenuta la disponibilità di un terreno donato dalla famiglia Sciarrone, l’Ufficio tecnico diocesano predispose il «Progetto di una chiesetta da costruirsi in Matiniti», intitolata a Ognissanti nel giugno del 1968.

Come in altre opere realizzate in quel periodo venne richiesta la possibilità di usare i cantieri di lavoro finanziati dallo Stato al fine di favorire l’occupazione. I lavori, assegnati all’impresa Rocco Sergi, furono avviati nel gennaio 1969 e completati nel novembre 1970. Fu ottenuta, tuttavia, una proroga sino ad aprile del 1972. La chiesa era essenziale, di modeste dimensioni e con gli arredi liturgici in legno. Due decenni dopo, a causa dell’usura del tempo e dei danni atmosferici, si rese necessario un nuovo intervento di riqualificazione per salvaguardare la struttura dell’edificio religioso.

Vennero quindi avviati lavori di restauro della parte strutturale, venne adeguato lo spazio presbiteriale e realizzato un grande mosaico sulla parete fondale. Gli interventi furono affidati alla ditta Colledani e finanziati grazie alle somme raccolte dai devoti, residenti nel piccolo centro.

Il 20 dicembre 1992 l’arcivescovo monsignor Vittorio Mondello inaugurava le nuove opere. Più recentemente, nel maggio 2018, il parroco don Francesco Megale ha avviato altri lavori di ristrutturazione che hanno portato al ridisegno della facciata che ha abbandonato il tradizionale schema a capanna con un corpo avanzato che si protende verso l’alto caratterizzato da una sottile finestratura centrale e da piccole finestre a scacchiera, con la porta di ingresso decentrata e coperta da una falda a tetto spiovente.

La chiesa della Congrega della Madonna del Carmine

A chiudere la ricognizione sul territorio, c’è la chiesa del Carmine sita in un’altra frazione di Campo Calabro: Musalà. Di questo edificio sacro di cui una prima descrizione risale all’ottocento, individueremo i tratti salienti della ricostruzione dopo il terremoto del 1908. Non essendo chiesa parrocchiale, quindi non soggetta a sovvenzioni dello Stato, essa venne ricostruita, in posizione più sollevata, dagli abitanti della frazione e completata, a cura della Congrega della Madonna del Carmine, nel 1910.

La sua tipologia è semplice con una navata unica (larga 8 metri e lunga 16) che si chiude verso il presbiterio absidato, in cui è collocato il grande quadro ottocentesco della titolare. Esso è caratterizzato, nella parte alta, oltre l’arco trionfale, da una ricca decorazione pittorica che raffigura una successione di finestre monofore. L’aula è invece alta sei metri sino alla linea di gronda. È scandita da una struttura a telaio in cemento armato. Sul lato destro della facciata, caratterizzata da un breve pronao, davanti la porta centrale, sovrastata da una trifora, si innalza il campanile per 12 metri con l’orologio meccanico e la cella campanaria superiore che ospita una campana fusa e poi collocata nel 1952.


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L’interno è illuminato da finestre laterali terminanti in alto con arco a tutto sesto che sono state arricchite con vetrate colorate. Risale a 43 anni fa l’ultimo intervento di restauro e adeguamento liturgico dell’area presbiterale. Nel 1979 la chiesa è stata infatti sottoposta a dei lavori seguendo il progetto redatto dall’architetto Giuseppe Patafi e finanziato con i fondi raccolti dai fedeli della frazione campese e dalla Congrega del Carmine.

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