Avvenire di Calabria

Restare al Sud. La storia esemplare di Agrumaria Reggina

Dalla Bocconi a Gallico: «La Calabria? È un’opportunità»

Intervista a Felice Chirico, imprenditore di 24 anni, socio di Agrumaria Reggina

Davide Imeneo

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Si può provare a fare impresa a Reggio Calabria? A risponderci è Felice Chirico di Agrumaria Reggina, la prima impresa manifatturiera della Città. Felice ha 24 anni, otto in meno rispetto all’azienda, nata nel 1985 grazie all’intuizione del nonno, Francesco, e portata avanti dal papà e dallo zio che adesso stanno dirigendo l’attività produttive assieme alla terza generazione della famiglia che non ha mai lasciato il quartiere d’origine, dove anche Agrumaria Reggina ha mosso i primissimi passi nel settore food&beverage come fornitori a livello industriale di succhi concentrati. Una storia che prosegue sulle «gambe» di Felice e dei suoi cugini.

Quando nasce e perché nasce la tua passione per l’imprenditoria?
Sono sempre cresciuto con l’idea di voler fare l’imprenditore, soprattutto grazie all’esempio di mio padre. Non voglio fare facile retorica: ciascuno di noi ambisce a lavorare e a essere gratificato nel farlo. Io ho voluto farlo nell’azienda di famiglia, con le persone a cui voglio bene e nella mia città.

Sei un reggino “di ritorno”.
Conclusa l’università a Milano hai voluto raggiungere nuovamente lo Stretto.
Tornare da un senso di responsabilità: lavorare altrove, delle volte, è pure un «pacchetto facile». Bisogna dare molto di più e, soprattutto, non limitarsi a vivere solo l’azienda. Tornare a Reggio vuol dire gustarsi la città, come personalmente faccio grazie all’associazione “Attendiamoci”; in sintesi si tratta di una missione semplice: essere sé stessi.

Visitando l’azienda si respira un’aria di famiglia, anche con i dipendenti.
Cosa vuol dire fare l’imprenditore? L’etimologia parla chiaro: «prendere dentro». Ma «prendere dentro» cosa? I dipendenti, il territorio, i clienti. Non si può pensare di fare impresa senza prendersi cura dei propri dipendenti: tutto ciò che sta dietro permette a chi vende un prodotto di ottenere i risultati sperati.

Cosa vuol dire «prendersi cura dei propri dipendenti» per te?
Credo che ognuno di noi abbia il dovere di restituire la bellezza del lavoro: nelle relazioni umane, nella trasparenza amministrativa e negli ambienti di lavoro.
L’obiettivo è essere entusiasti, ogni mattina, di iniziare la propria attività.

C’è un settore dell’impresa che ti inorgoglisce?
L’area Ricerca e Sviluppo è il cuore della nostra azienda.
Questo convincimento parte vent’anni fa e probabilmente è stato il «passo in avanti» che ha consentito la sopravvivenza rispetto alla crisi. Per fare questo è ovvio che ci rivolgiamo ai giovani: l’idea è quella di proiettarci sempre a progetti decennali.

Lavorare con i giovani, quindi, conviene?
La curiosità è sicuramente un valore aggiunto: ogni giovane che è passato, e spesso è rimasto per oltre vent’anni, dalla nostra impresa è riuscito a comprendere sempre nuovi modelli produttivi e applicarli al nostro processo.
Questa voglia è alimentata, ovviamente, dalla presenza anche di tutte le anime adulte che sono la storia dell’azienda.

Mentre i rischi quali sono?
Non è facile, però, trovare competenze già professionalizzate e questo è un costo per la città.
Questo, purtroppo, è un paradosso che andrebbe colmato con un maggiore matching tra il mondo accademico e quello imprenditoriale.

Dalle tue parole non emerge una particolare criticità verso Reggio Calabria, città abbandonata da tanti tuoi coetanei.
Crediamo sia poco edificante lamentarsi del luogo in cui si lavora. Anzi, aggiungo: personalmente non vedo particolari problematiche nel lavorare a Reggio Calabria; quello che è fondamentale avere, in realtà, è altro. Mi riferisco a una strategia chiara, una mission solida e una visione condivisa. In buona sostanza: sapere dove stiamo andando.

Progetti per il futuro?
L’internazionalizzazione certamente è una bella sfida. Il 75% del nostro fatturato è all’estero: questa è una partita molto tosta. Attenzione, però, non è nulla di impossibile: certo servono le competenze adeguate e saper fare un ottimo gioco di squadra.

Il «brand» Calabria: è un limite o un’opportunità?
La Calabria all’estero, in realtà, non è mai stato un limite. La nostra “fortuna” è stata quella di aver sfruttato le potenzialità del territorio. Essere calabrese, vivere in un quartiere, come quello di Gallico, che possiamo definire la «vallata degli agrumi» non può far altro che stimolare i buyers stranieri a sceglierci.

Dovessi suggerire a un tuo coetaneo di fare impresa, quali sarebbero le tre password per accedere al mondo imprenditoriale?
Le parole–chiave potrebbero essere tre: relazioni poiché l’impresa non è una questione da one–man–show, dietro i grandi miti imprenditoriali c’è sempre stata tanta gente pronta a sostenerla; idee che devono essere vincenti e sostenibili senza inseguire la moda del momento: il manufatturiero, a tal proposito, è un settore che andrebbe rifocalizzato dai giovani; e organizzazione: serve un serio metodo di lavoro senza voler improvvisare.

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