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Nel cuore del tempo di Pasqua, un incontro interreligioso all’Hospice di Reggio Calabria ha unito spiritualità, poesia e umanità, tracciando un sentiero di cura profonda e ascolto condiviso tra fedi diverse e cuori aperti.
Ci sono luoghi in cui il tempo rallenta. Dove le parole si fanno più leggere, i gesti più attenti, i silenzi più densi. L’Hospice è uno di questi luoghi. Nella settimana Santa, dentro questo tempo sospeso, in attesa della Santa Pasqua, è accaduto qualcosa di prezioso: un incontro inter-religioso, proposto dal GdL della Fondazione “Via delle Stelle”, amministrata dal Presidente dottor Vincenzo Nociti, di concerto con l’Associazione culturale “Rhegium Julii”, diretta dal dottor Giuseppe Bova.
È stato un incontro semplice, eppure straordinario. Un momento in cui la speranza ha preso forma nelle voci, nei gesti, negli sguardi di chi ha scelto di esserci. Sono intervenuti rappresentanti delle comunità religiose presenti sul territorio reggino: musulmana, evangelica, ortodossa, cattolica.
Anche questa iniziativa rientra tra le proposte di “SpazioCultura....la Cultura che Cura”, contenitore dell’Hospice ideato, progettato e diretto dalla dottoressa Francesca Arvino, psicologa e psicoterapeuta dell'Hospice, che ha dato l’avvio alla mattinata intensa e ricca di stimoli, portando i saluti del Presidente Nociti, assente per motivi istituzionali. La dottoressa Arvino, dando il benvenuto ai presenti, sottolinea che l’idea di questo incontro è nata dal convincimento profondo che l’obiettivo di un’equipe di cura è sempre imparare ad accogliere la persona nella sua interezza e nella sua complessità, passando da una profonda accettazione, o ascolto sincero e profondo, di sé stessi, compresa la propria dimensione spirituale/interiore. La ricerca di un senso, la necessità di confrontarsi, che diventa percorso comune ed “essere con l’altro”, e il bisogno di conforto e supporto, che possono tradursi in pratica religiosa o in consolazione laica, sono i cardini dell’accompagnamento spirituale.
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Si sono susseguiti numerosi interventi, abilmente presentati dalla referente dello SpazioMusicale, professoressa Cristina Caridi, che ha dato la parola alla dottoressa Anna Tiziano, vice direttore sanitario, nonché coordinatore della SICP Calabria, che ha sottolineato con forza l'importanza della spiritualità nelle cure palliative, come dimensione fondamentale e integrata nella presa in carico della persona. Un aspetto che non riguarda solo la religione, ma il bisogno profondo di senso, di pace, di riconciliazione, che viene accolto e valorizzato dall’equipe dell’Hospice reggino grazie al coinvolgimento dei Referenti delle diverse comunità religiose presenti sul territorio.
Nel corso della mattinata, ogni rappresentante ha portato la propria visione, la propria fede, la propria lingua interiore. Ma tutti, in fondo, hanno parlato lo stesso messaggio: quello della presenza.
Con la sua voce pacata e il cuore radicato nell’esperienza, Don Armando Turoni, assistente spirituale in hospice, ha aggiunto un’immagine che resterà con noi a lungo: l’Hospice è una casa. Non un luogo di passaggio, né un reparto, né un confine. Una casa. Un luogo dove si continua a vivere. E dove la vita, pur nella fragilità, può ancora essere piena. Piena di relazioni, di attesa, di parole sussurrate, di carezze che sanno raccontare amore anche quando le forze vengono meno. Parlare dell’Hospice come casa è un atto di verità. Perché riconosce che qui non si smette di vivere. Si vive in altro modo. Si vive nella profondità del presente, nel valore delle piccole cose, nella cura che non chiede nulla in cambio. In un momento carico di senso.
Viene data la parola al diacono Mario Casile, direttore dell'ufficio per l’ecunemismo e il dialogo interreligioso dell’Arcidiocesi Reggio Calabria-Bova, che ha posto l’accento sul bisogno profondo di curare il corpo e non solo la malattia, di prendersi cura della persona nella sua interezza, nel suo bisogno di contatto, attenzione, relazione. Ha anche sottolineato che questo evento è stato possibile grazie al costante lavoro di raccordo tra la Fondazione e l’Arcidiocesi, un dialogo silenzioso ma prezioso che ha reso possibile l’incontro.
Segue l’intervento del Pastore Demetrio Amadeo, della chiesa cristiana Gesù Cristo è il Signore di Gallico: “In un luogo come questo, l’importante è esserci.” Non c’è stato bisogno di spiegare altro. Perché chi vive l’hospice ogni giorno sa che “esserci” non è qualcosa di scontato. È una scelta. Un modo di stare. È decidere di restare accanto anche quando non si può più cambiare nulla. Anzi, proprio allora.
A dare ancora più forza a queste parole è stata la testimonianza personale del Pastore Pasquale Focà, della chiesa evangelica della riconciliazione, che ha condiviso un momento intimo della sua vita. Ha raccontato di quando, durante un ricovero al nord per un intervento delicato, si è trovato a cercare una presenza. Aveva bisogno di qualcuno con cui condividere i suoi pensieri, le sue ansie, le sue paure. Ma non ha trovato nessuno. Nessuno a cui affidare il proprio smarrimento, nessuno che restasse accanto in quel momento fragile. Le sue parole, semplici e profonde, hanno fatto calare un silenzio denso nel salone dell'Hospice. Perché si parlava di qualcosa che tutti, prima o poi, conosciamo: il bisogno umano di essere ascoltati, di non sentirsi soli. E proprio per questo l’Hospice è un luogo prezioso: perché qui qualcuno c’è. Sempre. Anche solo per ascoltare. Anche solo per accogliere. Anche solo per stare.
Le Cure Palliative non sono un “non fare più”, ma un fare diversamente, un approccio assistenziale che non corre più contro il tempo, ma lo accoglie. Che non cerca la guarigione, ma la qualità. Che non elimina la sofferenza, ma la attraversa, la ascolta, la accompagna – sottolinea la dssa F. Arvino. Le sue parole hanno restituito profondità al senso del prendersi cura olistico. Perché qui non si tratta solo di trattamenti, ma di umanità condivisa. Di meticolosa attenzione ai bisogni, anche quelli invisibili. Di rispetto per ogni persona e per i suoi familiari, in ogni fase del suo cammino.
Nello stesso spirito si è inserito l’intervento del Pastore Francesco Zappia della chiesa cristiana Gesù è risorto di Catona, accompagnato dal suo predecessore M. Ripepi, scegliendo di parlare dell’amore verso l’altro. Non un amore astratto, ma quotidiano, concreto, fatto di attenzione, di ascolto, di piccoli gesti che fanno sentire una persona vista, riconosciuta, importante. Hanno sottolineato l’essenza profonda della cura: non prendersi cura della malattia, ma della persona. Con le sue paure, i suoi desideri, la sua dignità, la sua unicità. Una cura che non guarda solo al corpo, ma accoglie anche lo spirito, la storia, i legami.
Anche Padre Sergej Tikhonov, vice parroco di San Paolo dei Greci, ha scelto parole essenziali, capaci di andare dritte al cuore. Ha detto che la parola chiave è l’amore. Non solo per chi ha un credo religioso, ma per chiunque abbia il cuore aperto. L’amore è la condizione necessaria per entrare davvero in relazione con chi soffre. L’Hospice - ha aggiunto - è un luogo di speranza, un luogo che ci fa percepire in profondità cosa significa stare accanto a una persona che soffre in maniera umana.
È intervenuto poi Hassan Elmazi, presidente del Centro Culturale Islamico, che con emozione sincera ha condiviso un frammento personale, esprimendo la profonda gratitudine per il rispetto constatato nei confronti del credo religioso. Ha raccontato di quando, in occasione della morte di un paziente musulmano nell’Hospice reggino, si è ritrovato — quasi con stupore — a trovare tutto ciò che serviva per lavare la salma, secondo la tradizione islamica. Non solo gli oggetti necessari, ma anche uno spazio curato, con divani, sedie, un clima di accoglienza profonda per i familiari. Un rispetto concreto, che non aveva bisogno di parole per essere compreso. E a un certo punto, guardandosi intorno, quasi incredulo, ha esclamato: “Mio Dio, ma che bella cosa!”. Il suo sguardo grato ha parlato a nome di molti. Perché il rispetto non è solo una parola, è un gesto. È trovare pronto ciò che serve, senza doverlo chiedere. È far sentire ciascuno accolto nella propria differenza, senza sentirsi fuori posto. Le sue parole hanno toccato una dimensione fondamentale dell’Hospice: quella dell’ospitalità radicale, che si prende cura anche del bisogno spirituale, anche della tradizione, anche del lutto.
Durante l’incontro, il clima era raccolto. C’erano pazienti, familiari, operatori, volontari. Tutti seduti insieme, senza barriere. Una comunità silenziosa, in ascolto. Ognuno con il proprio vissuto, ma tutti accomunati da qualcosa che non ha nome, ma che si riconosce: la fragilità. E insieme, il desiderio di senso.
E poi c’erano loro, i Volontari: figure silenziose, ma presenti. Figure che non hanno compiti scritti, ma che riempiono spazi invisibili. Sono quelli che siedono accanto quando il dolore è troppo grande. Che restano quando gli altri devono correre. Che sorridono anche quando il cuore è stretto. Che ascoltano davvero, senza bisogno di risposte.
In Hospice, i volontari sono i custodi dell’umanità quotidiana. Sono quelli che accolgono, accompagnano, tengono la mano. Quelli che portano dentro le stanze un po’ di calore, un po’ di silenzio buono, un po’ di normalità. E sono loro, spesso, a vedere germogliare quei semi di speranza. Semi che si piantano senza clamore, con gesti minuscoli. E che fioriscono — a volte subito, a volte molto dopo — nei ricordi di chi resta.
Gli interventi che hanno animato la mattinata sono stati arricchiti dalle poesie declamate dai Poeti del Rhegium Julii, introdotti dal Presidente dr P. Bova che ha ribadito l’importanza e la bellezza del fare rete facendo leva sulla cultura, anche grazie la forte motivazione da parte degli artisti che afferiscono all’associazione culturale a mettere il proprio talento a servizio della struttura reggina. I versi dei poeti Caterina Silipo, Pasquale Porpiglia e Antonino Cotroneo, con sensibilità ed una straordinaria delicatezza, hanno attraversato il salone come un soffio, aggiungendo bellezza e profondità al tempo condiviso. Le loro parole hanno saputo cogliere l’invisibile: la nostalgia che si annida nei gesti, il bisogno di senso, il mistero della fine e la luce che, anche nel dolore, può ancora emergere. Hanno toccato il cuore senza invaderlo, accarezzandolo. Le poesie non hanno solo accompagnato gli interventi: li hanno amplificati, illuminati, trasformati in eco interiore. In alcuni momenti, il silenzio che seguiva i versi sembrava una preghiera. Un ascolto sacro. Come se la poesia fosse riuscita a dire ciò che a volte il linguaggio quotidiano non riesce a esprimere. Con passione e delicatezza, i loro versi hanno accompagnato le parole e i silenzi, mettendo l’accento su alcuni aspetti profondi dell’animo umano: la fragilità, il ricordo, l’amore, e la forza della speranza. Le poesie non hanno solo ornato l’evento, ma lo hanno attraversato, come un respiro leggero e necessario, toccando corde interiori che solo l’arte sa raggiungere.
Da cornice musicale le melodie e la voce del Maestro Mario Taverriti - noto musicista e compositore reggino - magistralmente intrecciate con i versi declamati, amplificandone l’intensità e avvolgendo l’intero salone in un’atmosfera sospesa e profondamente emotiva, divulgando un messaggio di pace e di speranza.
Alla fine dell’incontro, è intervenuta una familiare, la sorella di un’Ospite del nostro Hospice. Con passo deciso, ma occhi pieni di emozione, ha preso la parola. E in quel momento, tutto si è fatto più intimo. “Mi sono sentita accolta. Coccolata. Da tutti.” Ha parlato con sincerità, senza filtri. Ha raccontato la fatica, la paura, la solitudine che a volte sembrano invincibili. Ma soprattutto ha parlato della cura ricevuta. Di quella cura che va oltre le terapie, oltre i protocolli. Quella che scalda, che protegge, che consola. “Tutte le figure sono state preziose”, ha detto. “Ma soprattutto i volontari. Figure insostituibili. Ci sono sempre stati. Sempre. Per raccogliere il nostro dolore, le nostre ansie, le nostre paure, i nostri bisogni.” Poi ha aggiunto qualcosa che ha commosso tutti: “In Hospice sto assaporando la gratuità, la serenità. Può sembrare strano, ma… ho assaporato anche la gioia.”
Ha lasciato un attimo di silenzio dopo quella frase, come se fosse lei stessa a volerle dare spazio. E in quel silenzio, ognuno ha sentito risuonare qualcosa. Perché la gioia, detta in quel contesto, ha un peso diverso. È una gioia che non nega la sofferenza, ma che lo attraversa. Che nasce dalla presenza autentica, dalla cura ricevuta senza condizioni, dall’amore che si dona senza aspettarsi nulla in cambio.
In quel momento, l’incontro non era più un evento. Era diventato una testimonianza di amore ricevuto. Una dichiarazione silenziosa di quanto conti esserci. Di quanto conti esserci bene, autenticamente.
Le sue parole sono state il sigillo di un giorno speciale. Un giorno in cui la speranza non è stata raccontata, ma vissuta. Attraverso le voci delle religioni. Attraverso le parole di chi cura. Attraverso la presenza di chi non abbandona.
Oggi ne sono stati piantati tanti. Con rispetto. Con tenerezza. Con verità. E anche se non sappiamo quando e come fioriranno, qualcosa ci dice che lo faranno.
Perché dove c’è qualcuno che ascolta, che resta, che accoglie… lì, inevitabilmente, qualcosa cresce.
Grazie a tutti gli operatori in servizio e che hanno reso possibile questo momento.
Grazie alla nostra estroversa volontaria Flora per aver confezionato i ricordini per i nostri ospiti.
Grazie ai volontari Maria Assunta, Nicola, Giovanna e alle aspiranti volontarie Valentina e Donatella che sanno sempre stupirci con la loro fattiva presenza e con la loro generosità, coccolando i presenti con un accurato momento di convivialità.
* Presidente Associazione “Amici dell’Hospice di Reggio Calabria”
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