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Esattamente trent’anni fa, san Giovanni Paolo II firmava Ut Unum Sint, la prima enciclica interamente dedicata all’impegno ecumenico dopo il Concilio Vaticano II. Già allora il Pontefice polacco ribadiva l’«irrevocabilità» del cammino verso la piena unità dei cristiani, invitando tutte le Chiese a «non accontentarsi dei risultati raggiunti ma a guardare avanti con rinnovato coraggio». Tre decenni più tardi quelle parole risuonano ancora come bussola per un presente segnato da frammentazioni antiche e nuove.
L’intuizione profetica del testo sta nell’aver posto la conversione del cuore come condizione dell’ecumenismo, accanto al dialogo teologico e alla richiesta – rivolta a ogni comunità cristiana – di aiutare il Vescovo di Roma a ripensare il proprio ministero in forma “condivisa”. È proprio su questo punto che gli sviluppi più recenti mostrano la vitalità dell’enciclica: il percorso sinodale mondiale del 2021-2024 ha intrecciato sinodalità ed ecumenismo, riconoscendo che il cammino di ascolto dentro la Chiesa cattolica non può che procedere di pari passo con la ricerca dell’unità visibile. Anche i dialoghi bilaterali confermano l’attualità di Ut Unum Sint.
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Con le Chiese ortodosse, superati i nodi cristologici, il dossier sul primato petrino avanza con prudenza ma senza sosta, sostenuto da gesti reciproci di fraternità come le preghiere congiunte di papa Francesco e del patriarca Bartolomeo.
In Occidente, la “via del consenso differenziato” – formula che l’enciclica rilanciò con forza – ha dato frutti concreti: la Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della Giustificazione, nata luterano-cattolica, è stata ormai recepita da metodisti, anglicani e riformati, segno che la diversità può essere abitata senza annullare la comunione.
La Settimana di preghiera per l’unità del gennaio scorso, articolata a partire dal versetto «Credi tu questo?» (Gv 11, 26), ha ricordato a milioni di fedeli la centralità della preghiera comune. Se il Concilio aveva acceso la scintilla, Ut Unum Sint ne ha custodito la fiamma, e oggi quella luce illumina le periferie del mondo: dai corridoi umanitari gestiti insieme da cattolici e protestanti alle iniziative ecologiche che vedono fianco a fianco ortodossi, cattolici e protestanti.
Guerre, migrazioni forzate e l’irruzione dell’intelligenza artificiale rendono urgente una voce cristiana unita, capace di difendere la dignità umana davanti a logiche di esclusione o di mera efficienza tecnologica. Senza ignorare le ombre, l’enciclica invita a «procedere con calma, coraggio e umiltà», ricordando che l’obiettivo non è uniformare le Chiese, ma riconciliarle nella carità. Trent’anni di semina hanno prodotto frutti insperati, ma la mietitura è ancora lontana: la passione di Giovanni Paolo II resta una sfida aperta per ogni battezzato.
E proprio a suggello di questo anniversario, il cammino ecumenico conosce una luce nuova: Leone XIV, all’inizio del suo pontificato ha scelto il motto «In Illo Uno Unum». Una frase di Sant’Agostino che è pienamente accostabile allo spirito dell’enciclica: ricorda a tutte le Chiese – e al mondo intero – che la concordia non è un’utopia, ma la meta irrinunciabile del cammino cristiano.
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