L'arcivescovo emerito della diocesi reggina analizza i legami tra le due terre e tra la città di Reggio e quella di Messina, a cui lui stesso è legato
Davide Imeneo
12 Novembre 2019
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Tra i “cittadini dello stretto” che hanno articolato la loro vita tra Reggio e Messina, c’è anche un personaggio illustre: si tratta dell’Arcivescovo emerito di Reggio Calabria – Bova, monsignor Vittorio Mondello, messinese di origine e reggino di adozione. Secondo il presule «le due città dello Stretto hanno tante somiglianze, basta considerare i recenti avvenimenti a cominciare dal terremoto del 1908 che ha distrutto le due città. Hanno tanto in comune perché molti reggini lavorano a Messina e, viceversa, tanti messinesi vengono a lavorare qui a Reggio».
Cosa bisognerebbe fare per favorire lo sviluppo metropolitano dell’area dello Stretto?
«L’idea di una conurbazione che unisca Reggio e Messina non è una cosa campata in aria, ma favorirebbe la crescita dell’una e dell’altra città a mio avviso».
Che tipo di conurbazione ha in mente?
«Innanzi tutto quella della rete dei trasporti. Oggi la situazione è drammatica: quando io da Reggio per arrivare a Messina devo impiegare, quando va bene, un’ora e un quarto per prendere il traghetto e fare la traversata, evidentemente non è una cosa fattibile. Questa tempistica impedisce di spostarsi come se si vivesse in un’unica città».
Per chi vive su una sponda e lavora nell’altra sono tempi improponibili.
«Confido una cosa, quando io vado al cimitero di Messina a pregare sulla tomba dei miei genitori, posso dire soltanto una decina del Rosario. Per farlo devo impiegare 4 ore di viaggio, tra andata e ritorno. Ora tutto questo non è pensabile».
Lei è favorevole al ponte?
«Se si vuole una vera conurbazione, bisogna pensare a vie più celeri e più capaci, come potrebbe essere anche il ponte tra le due rive, del quale si parla da quando io ero bambino. Si sono fatti tanti progetti e studi, si sono spesi miliardi di lire ma ancora non si è arrivati a niente. Credo che il ponte possa far bene alle due città dello Stretto. Io credo all’utilità del ponte».
Dal punto di vista della società civile, lei pensa che ci possano essere dei “ponti senza cemento” da costruire?
«Sì certo. Penso, per esempio, al ponte culturale tra le due Università.Si tratta di due realtà molto attive, che fanno del bene al territorio e sopratutto ai giovani. Si potrebbero studiare anche nuove vie per collegare ancora meglio le due città anche culturalmente».
Le due comunità diocesane, quella reggina e quella messinese, potrebbero favorire la costruzione di nuovi ponti?
«Conosco bene le due comunità diocesane perché sono stato vescovo ausiliare di Messina e poi arcivescovo di Reggio. Credo che le due comunità diocesane possano contribuire sostanzialmente alla costruzione del ponte culturale di cui parlavo prima. Da parecchi anni c’è un contatto tra Reggio e Messina attraverso l’istituto San Tommaso di Messina, che è un riferimento di tutta la diocesi messinese, e gli Istituti teologici di Reggio. Diversi docenti reggini insegnano al San Tommaso e alcuni docenti messinesi insegnavano a Reggio. Questo è un ponte che già esiste, merita di essere approfondito».
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