Avvenire di Calabria

Il religioso saveriano, padre Aurelio Cannizzaro, si spinse ai confini della terra nell’opera di missione

Padre Aurelio Cannizzaro, il parroco della mondialità

Il suo cammino trovò una meta inaspettata nel quartiere di Gallico dove si fermò per ben venticinque anni

di Antonino Denisi

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Il religioso saveriano, padre Aurelio Cannizzaro, si spinse ai confini della terra nell’opera di missione. Il suo cammino trovò una meta inaspettata nel quartiere di Gallico dove si fermò per ben venticinque anni.

La storia di padre Aurelio Cannizzaro

Visitando il Santuario della Madonna della Grazia di Gallico, l’attenzione è attratta da una tomba su cui risalta il motto: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura». Evidentemente appartiene ad un missionario che ha meritato di trovare posto in una Chiesa. Trattasi del saveriniano padre Aurelio Cannizzaro, in omaggio del quale Oreste Arconte ha scritto un recital dal titolo emblematico Vinsi perché senz’armi.


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A Pechino. L’epoca missionaria di padre Cannnizzaro ha assunto dimensione indimenticabile a Pechino, nella Cina comunista del timoniere Mao Tse Tung, da dove, durante la dura repressione antireligiosa della rivoluzione culturale, è stato espulso con l’accusa di «essere entrato in Cina sotto pretesto di predicare la Religione, ma col vero scopo di trafficare ai danni del popolo». Costretti a partire in meno di mezz’ora, i tre saveriani scrivono: «Ci hanno cacciati come cani. Partiamo verso l’ignoto, tristi ma non accorati». Di fronte alle lacrime dei cristiani accorsi per salutarli, un poliziotto affermava: «Eppure bisogna riconoscere che la gente vi voleva bene ». Erano stati nell’impero appena cinque anni, dal 1948 al 1953.

Nelle Mentawai. Nel settembre del 1953 si apre per i saveriani la porta indonesiana del dittatore suharto. Padre Cannizzaro dice: «È tempo che ci interessiamo della gente delle Mentawai ». Il 3 dicembre, dopo circa diciotto ore di navigazione, l’imbarcazione salpata dal porto di Padang, entra nel Golfo di Siberut. Padre Cannizzaro stabilisce il suo quartier generale su una baia denominata “Terra di Maria” perché in quel posto aveva seminato un pugno di medaglie della Madonna. Su quelle isole nessun missionario aveva mai predicato il Vangelo. Il sacerdote reggino aveva sentito dire che nella migliore delle ipotesi «i mentawaiani accoglievano i forestieri con frecce avvelenate, includendo talvolta le parti migliori dei malcapitati nel menù del giorno». Gli isolani erano animisti guidati da stregoni. Padre Cannizzaro dovette apprendere la loro lingua e adattare linguaggio e riti per l’evangelizzazione. Cosa che ha fatto non senza difficoltà, con un salto di mentalità in piena preistoria, scoprendo anzitutto le affinità religiose ed i valori essenziali della vita: monoteismo, monogamia, mitezza ed armonia con l’Universo creato. Anche l’avventura evangelizzatrice tra i primitivi delle Mentawai si concluse dopo appena un triennio. Assalito da febbre altissima diagnosticata malaria tropicale, padre Cannizzaro è costretto al rientro in Italia.


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A Gallico. Ma la missione di padre Cannizzaro non si è interrotta perché, come egli stesso scrive: «Feci il girovago di Dio tra seminari, scuole pubbliche e private, fabbriche, case per anziani, carceri, ospedali», finché nell’estate del 1967 viene incaricato di prendersi cura del Santuario gallicese della Grazia. Su tre ettari di terreno accidentato della fiumara San Biagio di Gallico, costruisce quello che viene chiamato Parco della Mondialità. Per padre Cannizzaro, il «Parco della Mondialità significa uscire dal chiuso dell’Io per ritrovarsi con Dio, amore per tutti gli uomini, per tutti i viventi, per tutte le cose». Le costruzioni assumono l’architettura della pagoda o della moschea, della muraglia cinese, del tucul o del totem indiano. Le cappelle rappresentano il Presepe dei Popoli, la Via Crucis, l’Orto degli Ulivi, i gruppi monumentali del Calvario, dell’Ascensione e della Pentecoste. Padre Cannizzaro, che era stato mandato a Gallico provvisoriamente, vi rimase per 25 anni. Fino a quando un tumore ne stroncava la forte fibra e la fantasia missionaria. All’alba del 26 marzo 1992, assistito dal confratello don Franco Saraceno, è andato a trovare riposo nelle braccia del Buon Pastore.

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