Avvenire di Calabria

La zavorra della "spesa storica" prevista dall'Autonomia differenziata rischia di condannare la Calabria a un futuro povero di opportunità

Autonomia differenziata, Calabria prigioniera della “spesa storica” regionale

Tra i settori principalmente colpiti potrebbe esserci quello dei servizi sociali già ridotto all'osso da una disparità di finanziamenti tra Nord e Sud

di Autori Vari

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La zavorra della "spesa storica" prevista dall'Autonomia differenziata rischia di condannare la Calabria a un futuro povero di opportunità. Tra i settori principalmente colpiti potrebbe esserci quello dei servizi sociali già ridotto all'osso da una disparità di finanziamenti tra Nord e Sud del Paese.

La spesa storica in Calabria: lo scoglio proposto dall'Autonomia differenziata

di Federico Minniti - Nómos e autós, la radice dell’autonomia - nel senso nobile del termine - va ricercata nella sua etimologia. Un significato travisato - almeno leggendo il Ddl Calderoli - che confonde volutamente la bellezza della «centralità del sé» (l’autós) con la prepotenza del denaro piegando così «le norme e i codici» (il nómos) al potentato di turno.

Non è filosofia spicciola, ma, affrontare nei termini del Ddl Calderoli il tema dell’Autonomia differenziata, è un serio rischio per la tenuta democratica del Paese.

Neanche il tempo di assimilare il fallimento del regionalismo degli anni ‘70 e l’improponibile riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, la fragile unità nazionale è messa ancora a dura prova. Attenzione: il cruccio non è né patriottismo né (al contrario) provincialismo.

La disfatta è rintracciabile nei diritti costituzionali in parte già negati e che, approvando l’autonomia leghista così com’è, rischiano di rimanere tali o addirittura naufragare. Prima domanda: come può uno Stato non impegnarsi a migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini specie quanti vivono in territori cosiddetti “arretrati”?


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Proprio nelle ore in cui il Governo Meloni ha approvato il Ddl Calderoli, l’Istat ci sottopone una fotografia impietosa: nel 2030 i residenti del Mezzogiorno scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord.

Lo chiamano “collasso demografico”. Seconda domanda: a cosa è servito istituire un Ministero per la Coesione? Cosa hanno portato i Ministri e sottosegretari al Sud? E la Conferenza StatoRegioni in cosa si è impegnata per i territori del Meridione?

Il partitone del Nord accoglie adepti senza distinzione di casacca e lo psicodramma dell’Autonomia differenziata non trova resistenze concrete tra i governanti del Sud. Va precisato che è chiaro a tutti, meridionali in testa, che il tempo dell’assistenzialismo statale è finito (perlopiù affermato attraverso la distribuzione cencelliana di posti di lavoro in questo o quel Ente statale o locale).

È chiaro che c’è da rimboccarsi le maniche, ma - se la strada è l’Autonomia differenziata - lo stiamo facendo nel modo sbagliato. Chiaramente l’approvazione del Ddl ha subito un’accelerazione elettorale. L’iter parlamentare sarà lungo così come i confini di incostituzionalità saranno (si auspica) battuti palmo a palmo. La presidenza Mattarella è sinonimo di equilibrio ed è il salvagente a cui sperare di non doversi appigliare.

Si potrebbe parlare di Autonomia, valorizzando l’autós di ogni regione: c’è un Mezzogiorno che merita solo di essere incentivato, ipotizzando sgravi fiscali alle aziende che investano e assumano i giovani del Sud; con territori a rischio desertificazione che potrebbero accogliere “nuovi cittadini” vogliosi di ritornare alla fortunata e redditizia tradizione agricola locale.

Ma la logica della “spesa storica”, invece, affossa le prospettive cristallizzando all’oggi ogni forma di speranza per il futuro. Eppure, una politica cattolicamente ispirata non può dimenticare i consigli del Papa buono, Giovanni XXIII: «Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare».

La speranza non può essere inaridita per legge. Come visto, infatti, le basi costituzionali e, aggiungiamo, cattoliche del nostro Paese in verità sono ispirate da altri valori. Terza, e ultima domanda: come si può condannare chi è “piccolo” a restare in eterno un minus rispetto a quanti oggi vantano una posizione di potere? Come si può pensare di fare «parti uguali» tra regioni diversi, parafrasando don Milani?

Questo nostro ragionamento, come si legge, pone interrogativi e non risposte pre-compilate. Ma viene spontaneamente da chiedersi: dove si colloca il principio di uguaglianza ed equità sociale quando si parla di “spesa storica”? La regionalizzazione della Sanità ha portato ad avere un’Italia a diritti variabili dove, spesso, chi ha più diritti, ha più soldi e può foraggiare la sanità privata.


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Accanto alla sanità preoccupano, poi, i risvolti in ambito scolastico e socio-assistenziale: avremo studenti di prima e seconda fascia? Persone con disabilità più o meno tutelate? È vero, come si è lasciato sfuggire un leader del Pd (non della Lega, badate bene!) del Nord: «La Lombardia non è la Calabria».

Non lo è per storia e tradizione, per colori e profumi, per ritmi e attitudini. C’è una differenza abissale che solo il sogno dei Padri Costituenti poteva mettere sotto lo stesso cielo dell’unità nazionale: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Quanto sono state pesate le parole 75 anni fa, quanto poco sono curate oggi. Eppure la cura, delle parole e delle persone, è la missione a cui è chiamato chi fa politica dove il “partitone” non dovrebbe essere del Sud o del Nord, ma delle equità e contro le ingiustizie.

L'analisi dal Forum del Terzo Settore Calabria

di Luciano Squillaci * - Di autonomia differenziata, o più correttamente di regionalismo differenziato, se ne discute spesso a sproposito, riducendolo impropriamente al vecchio refrain di un nord operoso che pretende il giusto “premio produttività” e di un sud sino ad oggi “assistito” che deve imparare a camminare con le proprie gambe.

Poco invece si riesce a focalizzare dei contenuti reali di un processo che affonda le radici ben oltre il Ddl Calderoli, nella sciagurata riforma del Titolo V ed in particolare nell’art.116 della Costituzione. È nella modifica costituzionale del 2001, che all’epoca incontrò opposizione solo da parte di pochi illuminati giuristi, che vanno cercati i prodomi dell’attuale condizione di diseguaglianza che purtroppo risulterà ulteriormente, e probabilmente irrevocabilmente, incentivata dal processo di autonomia “a richiesta” che le regioni hanno già avviato di fatto dal 2017.

La vera questione da affrontare è la garanzia dei diritti costituzionali di tutti i cittadini, senza territori di prima e di seconda classe. Il federalismo introdotto nel 2001 ha già determinato, negli ultimi 20 anni, un solco enorme tra le diverse regioni.


PER APPROFONDIRE: Via libera all’autonomia differenziata, la preoccupazione delle Acli


La Calabria ad esempio, è agli ultimi posti su tutti quei temi che definiscono il livello di benessere di ciascuno di noi: l’istruzione, la salute, le politiche sociali. Ma con l’autonomia differenziata la questione si fa più complessa e generalizzata, perché sarà cristallizzata la “spesa storica”, consentendo alle regioni più avanzate di mantenere ed implementare risorse senza alcuna perequazione con i territori più poveri.

E come sempre chi ne pagherà il conto saranno soprattutto le persone fragili. Se infatti già ora la spesa storica per le politiche sociali in Lombardia va oltre i 150 euro pro capite, ed in Calabria è ferma a 24 euro, con l’autonomia tale differenza verrà certificata e, con ogni probabilità, persino implementata.

Se in questo momento, a parità di abitanti, una città come Reggio Emilia ha 60 asili nido, mentre Reggio Calabria ne ha solo 3, domani con l’autonomia differenziata il divario diventerà incolmabile.

Né riteniamo si possa sventolare a garanzia l’individuazione dei cosiddetti Lep, livelli essenziali di prestazioni, già previsti dall’art.117 della nostra Costituzione, che pure attendiamo invano da oltre 22 anni ritenendoli un fattore decisivo per la costruzione di un welfare finalmente universale.

I Lep, nel disegno Calderoli, avrebbero la funzione di mitigare il criterio della “spesa storica”, fortemente penalizzante per le regioni come la Calabria maggiormente in difficoltà. L’individuazione dei Livelli essenziali infatti dovrebbe costituire il minimo garantito ovunque. Ma senza una politica nazionale di programmazione e soprattutto senza la previsione di strumenti perequativi, come saranno garantiti i Lep?

E del resto come credere alla garanzia del livello standard di servizi in un territorio dove affrontiamo quotidianamente enormi difficoltà burocratiche ed amministrative. Dove la macchina della pubblica amministrazione continua ad annaspare con personale insufficiente e spesso impreparato.

Del resto in Calabria abbiamo una riprova drammatica di quanto “aleatori” siano i parametri standard. In ambito sanitario, dove i livelli essenziali (Lea) esistono già, pochi giorni fa sono stati resi noti i dati del monitoraggio per l’anno 2020: la Calabria figura all’ultimo posto con punteggi da terzo mondo: sul massimo di 100, registriamo 48 punti per l’area distrettuale e per l’ospedaliera ed addirittura 33 per la prevenzione, ben al di sotto della soglia minima di 60.

Attendiamo quindi, ed auspichiamo, una presa di posizione netta e chiara da parte della politica e delle forze sociali, al fine di scongiurare l’ennesima ingiustizia. Sui diritti, soprattutto quelli dei più fragili, non si possono accettare differenze o interventi a ribasso.

* Portavoce Forum Terzo Settore Calabria


L'intervista al senatore Irto (Pd): «Così si realizza la secessione leghista»

di Federico Minniti - L’ok incassato dal Consiglio dei Ministri porta il disegno di legge sull’Autonomia differenziata alla prova del Parlamento. Ne abbiamo parlato col senatore Nicola Irto, segretario regionale del Partito democratico in Calabria.

Il Cdm ha dato il via libera all’Autonomia differenziata. Il federalismo alla Calderoli si può migliorare o va totalmente archiviato?

L’autonomia di per sé non è un male. Il problema è che il Governo sta forzando la mano per imporre una riforma che rischia di affossare ulteriormente il Mezzogiorno. Non a caso è stata ribattezzata “Spacca Italia”. Ed è proprio così: il ddl Calderoli non farà che allargare ancora l’enorme solco che divide il nostro Paese. Dobbiamo dirlo fuori dai denti: l’autonomia differenziata è stata concepita per rendere il Nord ancora più ricco e il Sud ancora più povero. È il vecchio sogno leghista. Non possiamo accettarlo e daremo battaglia in Parlamento per scongiurare una simile eventualità.

Entriamo nel merito: quali sono le proposte che il Pd ritiene inaccettabili del DDL Calderoli e come si impegnerà a cambiarli?

Nel testo ci sono elementi di incostituzionalità evidenti. Per questo è stato bocciato dalla Conferenza Stato-Regioni. Come si fa, nel 2023, ad accettare il no alla perequazione o il criterio della spesa storica per le Regioni? Significa condannare all’emarginazione perenne territori depressi come la Calabria. La riforma, così come è stata concepita, andrebbe ad allargare i divari territoriali già presenti in temi di trasporti, energia e sanità, trasformando l’Italia in un Paese a velocità variabili. La pandemia e la guerra ci hanno invece insegnato che abbiamo bisogno di unità per entrare a pieno titolo nella grande famiglia europea, non di dividerci al nostro interno. Ecco, la riforma leghista è semplicemente anti-storica, direi quasi medievale.

Da calabrese e meridionale come giudica il comportamento dei governatori del Sud che hanno avallato la proposta?

Purtroppo, gli interessi collettivi vengono troppo spesso barattati per quelli meramente politici e finanche personali. Contro questa autonomia differenziata serve una mobilitazione generale che esuli dalle singole appartenenze partitiche. Bisogna creare un fronte comune, soprattutto in questa regione. Anche perché la riforma leghista porta con sé il contestuale annullamento della Vertenza Calabria, 11 punti di riscatto sociale ed economico che verrebbero spazzati via in modo quasi automatico.

Infine, la delicatissima questione dei Lep. Qual è il suo punto di vista in tal senso?

Sono preoccupato per quanto sta avvenendo. Il governo Meloni ha affidato la questione dei Livelli essenziali delle prestazioni a una commissione esterna, delegittimando il Parlamento. È inaccettabile, anche perché non hanno ancora chiarito in che modo verranno calcolati i Lep. Sul punto il governo ha preferito minimizzare, ma si tratta di uno sbaglio epocale. Sono proprio i Lep l’aspetto più importante della riforma. Senza un coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali, si rischia davvero di spaccare in due l’Italia. E stavolta, temo, in modo irreversibile. Mi auguro che, passata l’ansia pre-elettorale, il governo torni ad affrontare la questione in modo più sereno e coinvolgendo tutti. Le riforme istituzionali non possono essere realizzate a colpi di maggioranza.

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