Avvenire di Calabria

Ecco perché l'Esame di stato mantiene ancora un rapporto analogico con la vita

Esame di maturità, parla il prof: «Non solo una prova da superare, è un rito che parla di crescita»

Dal prof di filosofia un’analisi profonda sul valore di questo momento così importante per il futuro dei ragazzi

di Giorgio Sottilotta *

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Tutto ha inizio con un foglio bianco e diverse opzioni tra cui scegliere. La “Maturità” (Esame di…) mantiene un rapporto analogico con la vita.

Qualcosa che, da parzialmente indefinito, assume sempre maggiore definizione attraverso le scelte che via via facciamo. Guai a dimenticare questo stretto nesso… ne andrebbe della stessa credibilità di questa importante prova a cui si sottoporranno, a breve, circa 500mila adolescenti.



Non si può, però, non notare (e chi si trova nel mondo della scuola lo nota…) che il processo di maturazione, o il concetto di “maturità”, nel tempo, stia perdendo il fascino e il valore simbolico che la nostra cultura gli ha spesso attribuito. Insomma, oggi, la “notte prima degli esami” ha forse perso la sua carica “simbolica” per acquisirne una, forse, troppo spostata verso il “prosaico”.


PER APPROFONDIRE: Calabria, tempo di maturità: voci dalla scuola. Ascolta il podcast


Senza andare troppo lontano nel tempo, a poco più di una decina di anni fa, l’Esame di Maturità segnava un importante spartiacque tra il mondo della scuola, caratterizzato particolarmente dalle decisioni e dalla supervisione dei genitori, e quello dell’università/lavoro, dove la responsabilità della scelta e delle sue conseguenze è nettamente più sbilanciata sul giovane.

Oggi, forse, questo spartiacque non è così netto. Già dal quarto anno della scuola secondaria di secondo grado gli studenti iniziano a studiare per superare i test di ingresso per l’università, gli ormai celebri TOLC. Le lancette del tempo della scelta si spostano sempre più indietro, in una fase in cui lo studente è ancora nel pieno della propria formazione culturale e, soprattutto, personale.

Tralasciando le ricadute di questo sistema sulla vita privata, relazionale e sul rendimento scolastico degli studenti, proiettati a due anni nel futuro, senza offrire loro la possibilità di vivere pienamente il presente, risulta chiaro che ad essere in crisi è anche il senso stesso delle prove previste per la “Maturità”.

Da docente di filosofia ho sempre concepito la “Maturità” come quella “maggiore età” a cui Kant esortava i suoi contemporanei: un invito a usare consapevolmente, coraggiosamente e responsabilmente la propria testa per giudicare e autogiudicarsi.

Un esame non può certo definire in maniera netta un processo lungo e tortuoso come l’acquisizione della maturità (concetto, anch’esso, abbastanza soggettivo), ma sarebbe un problema, a mio avviso, sminuirne la portata più di quanto già avviene.

Per molti studenti, infatti, come già detto, questo esame non è più il primo esame, la prima prova. Per alcuni, si tratta di una prova che serve a convalidare e a rendere effettiva quella dei TOLC o per offrire un “pezzo di carta” per il lavoro che già è stato trovato.

E allora… perché si fa ancora l’Esame di Maturità? Non basterebbe uno scrutinio finale dei docenti alla fine del quinto anno (o quarto, viste alcune sperimentazioni) della scuola “superiore”? La domanda non è così scontata come sembra, se la si guarda mettendo da parte il richiamo alla tradizione (il “si è sempre fatto così”), che necessita, per sopravvivere, di essere sempre messa in dubbio.

Quindi? Quindi… una risposta semplice e lineare non c’è. Il ruolo del filosofo e del docente di filosofia è quello di educare a sostare sulla domanda per evitare risposte troppo frettolose, tendenzialmente poco affidabili.

Mi sovviene però il titolo di un’opera del filosofo contemporaneo B.-C. Han, La scomparsa dei riti. Non voglio entrare nell’opera ma soffermarmi proprio sul titolo.

L’Esame di Maturità, a suo modo, è un rito, la cui scomparsa segnerebbe un grave impoverimento per la vita degli adolescenti. Pensando a una delle funzioni del rito nel cattolicesimo, direi che anche l’Esame di Maturità è l’“incursione” dello straordinario nell’ordinario, il tempo della festa (anche se gli studenti sarebbero probabilmente reticenti a definirlo così) che fa capolino nella quotidianità.



Forse è proprio questo che dovremmo recuperare o, quantomeno, trasmettere ai nostri maturandi: che l’Esame ha un valore che va al di là della valutazione, del pezzo di carta o della propedeuticità in vista di ciò che verrà dopo.

La “Maturità” è quel momento in cui mi fermo (stare seduti per circa sei ore a prova non è poca roba oggigiorno) e davanti a un foglio bianco mi “specchio”, guardo indietro, al percorso fatto con alti e bassi, mi rendo conto di dove sono arrivato e cosa ho fatto e… inizio a scrivere.

* Docente di Filosofia

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