Avvenire di Calabria

Ieri sera si è tenuto il consueto appuntamento in Cattedrale con la predicazione del padre gesuita ai fedeli reggini

Sinodo a Reggio, Sala: «La religione non deve essere una “gabbia”»

Durante la riflessione, ad affiancarlo c'erano il vicario generale, don Catanese, e il vicario per la Cultura, don Sergi

di Redazione Web

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Sinodo a Reggio, Sala: «La religione non deve essere una "gabbia"». Ieri sera si è tenuto il consueto appuntamento in Cattedrale con la predicazione del padre gesuita ai fedeli reggini. Ad affiancarlo - durante la riflessione sull'Assemblea di Gerusalemme, tratta dagli Atti degli Apostoli - il vicario generale, don Catanese, e il vicario per la Cultura, don Sergi.

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«L'assemblea di Gerusalemme è al centro degli Atti degli apostoli. Non si tratta solo di un centro materiale (siamo al 15o di 28 capitoli), ma costituisce soprattutto uno spartiacque. Prima di questo evento, l'autore degli Atti (Luca) ha seguito i movimenti della chiesa nascente; dopo l'evento, è il solo San Paolo a dominare il racconto. Prima dell'assemblea la priorità dei discepoli era la missione presso i giudei; dopo l'assemblea, l'attenzione si concentra sul mondo pagano», ha spiegato padre Sergio Sala.


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«L'antesignano di tutti gli incontri sinodali, - prosegue Sala - l'assemblea di Gerusalemme, tocca due temi. Il primo era dogmatico: la salvezza da dove viene? Si era già capito che la salvezza era offerta a tutti, non solo ai giudei (l'episodio di Cornelio). Ma come ottenerla? Insieme a tale questione di fondo, vi era un secondo problema di ordine pratico: a quali condizioni i cristiani di origine e cultura diversa possono vivere, lavorare, mangiare insieme? Era un problema sorto ad Antiochia dove convivevano cristiani di origine giudaica e pagana. Vivere insieme nelle differenze non è affatto una questione secondaria».

La meditazione del gesuita prosegue concentrandosi su «l'ultima parola» che «spetta a Giacomo, il leader della comunità giudeo cristiana a Gerusalemme, detto "il fratello del Signore"». Dettaglia Sala: «Giacomo salva la continuità storica con Israele e vi integra il fatto nuovo della Chiesa sorta tra i pagani. È una visione universalistica: la salvezza è come una tenda che si allarga, sotto la quale c'è posto per tutti. Da parte dei cristiani giudei, di coloro che godevano già da prima della promessa, esisteva la libertà di accogliere sotto la tenda, non di sentirsi gli unici ospitati. Le radici sono importanti, nessuno lo nega e vanno preservate, ma non devono rendere la nostra religione una gabbia».

Padre Sala, quindi, propone un "gancio" con l'attualità: «L'inclusione dei pagani non significa la sostituzione di Israele, ma la sua espansione. Giacomo compie un'operazione che dovremmo fare anche noi: leggere il presente alla luce della Parola di Dio. Ad esempio, la tenda che si rialza e si allarga potrebbe aiutarci nella riflessione sull'accoglienza verso i rifugiati dall'Ucraina e da altre nazioni in guerra».


PER APPROFONDIRE: Reggio – Bova. L’importanza di fare sinodo, l’esperienza del Soccorso


Nelle sue conclusioni, Sala afferma che «l'assemblea di Gerusalemme è diventata un modello per i grandi sinodi e concili che hanno contrassegnata la storia della chiesa, ed è anche un modello per la ricerca teologica e per il confronto ecclesiale. Per arrivare a decisioni universali, è necessario che tutta la Chiesa le approvi; quindi ci vogliono tutti i rappresentanti delle Chiese sparse per il mondo e ancora non basta, serve la presenza dello Spirito Santo e serve una forma comunicazione che raggiunga tutti».

«La discussione durante l'assemblea di Gerusalemme, pure essendo legata a quel dato momento storico, può aiutare a prendere coscienza di alcuni interrogativi di ogni epoca. Quale deve essere il rapporto fra l'esperienza di fede e l'ambiente socio culturale in cui si sviluppa? In base a quali criteri si può fare una scelta che rispetti la libertà e l'autonomia del cristiano, e nello stesso tempo consenta una maturazione e crescita delle persone senza sradicarle dal loro substrato socio-culturale? La vicenda degli Atti - chiosa il gesuita - non ci offre ricette ma criteri per elaborare con creatività e aderenza storica le scelte per il nostro tempo e per il nostro ambiente».

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