Avvenire di Calabria

Questa sera alle 20.30 il debutto del nuovo musical dell'associazione reggina sul palcoscenico del Teatro comunale Francesco Cilea

Attendiamoci torna in scena con il “Re Leone”: ecco il messaggio educativo

A poche ore dalla prima dello spettacolo, don Valerio ha voluto condividere il messaggio educativo da lanciare alla città

di Redazione Web

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Il mese di maggio ha segnato il ritorno sul palcoscenico per i ragazzi di “Attendiamoci”, l’associazione fondata da don Valerio Chiovaro, da anni impegnata nella realizzazione di musical di giovani per i giovani. Quest’anno l’opera in scena è il “Re Leone” (il debutto è questa sera alle 20.30 al Teatro "Cilea" di Reggio Calabria), dietro cui si cela un forte messaggio educativo.

Il debutto del Re Leone dei ragazzi di "Attendiamoci" è questa sera (venerdì 20 maggio), alle 20.30 sul palcoscenico del Teatro "Francesco Cilea" di Reggio Calabria. Si replica domani (sabato 21), alla stessa ora e domenica 22 maggio alle 18.


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«Nants ingonyama bagithi baba “Ecco che arriva un leone, padre…». Comincia così questa nuova avventura del Musical del Re Leone. Con il canto di Rafiki (il nome significa amico), quell’amico anziano che tutti dovremmo avere. Quella figura che ci accompagna, all’inizio del cammino, nel cammino del ritorno, nella scommessa della responsabilità. È un amico che sa aspettare, che fa domande più che dare risposte. Che alimenta la nostalgia e sprona la responsabilità. È anziano, perché conosce tutta la fatica della vita, perché, piegato e col bastone, porta tutto il peso dell’esistenza con le sue fughe e le sue cadute. Ma sa ridere e far ridere. È un po' matto! Ha imparato a “respirare l’aria” e sa riconoscere l’odore dell’attesa. È discreto, ma al momento giusto c’è. Sa rimproverare, ma soprattutto lo sa fare sorridendo. Sa far male (grande effetto hanno le sue bastonate sulla testa di Simba), ma lo fa solo per fare un gran bene. Ma soprattutto Rafiki è colui che “apre gli occhi”, indirizza il volto di ciascuno verso il cielo e contemporaneamente invita a “guardare dentro se stessi”, “nell’ogniluogo della presenza del Padre”. Ecco la storia comincia e finisce così, con Rafiki, l’amico anziano.

È il primo messaggio: rivalutare il rapporto con i nostri anziani. E per noi anziani, imparare ad essere amici, come Rafiki, a formulare domande giuste, a saper indirizzare gli sguardi verso il cielo e verso le profondità di ciascuno.

Il secondo messaggio del Re Leone di Attendiamoci

La storia continua con l’esile Scar (il nome significa cicatrice). Ed è grande la cicatrice che questo leone porta sul volto e forse anche nel cuore. È una di quelle ferite che mai si rimargina: l’invidia, mista ad una certa gelosia. È una cicatrice che, nell’astuzia di azioni ammantate di ipocrisia e falsità, diventa uno sfregio. Cattivo dall’inizio alla fine, Scar è affamato di potere, ma incapace di servizio. Non è nel cerchio della vita, ma si pone all’apice di un sistema che provocherà “un tutto intorno di aridità”.

Ed ecco il secondo messaggio: noi adulti dobbiamo curare le nostre ferite, altrimenti queste ci incattiviscono fino a ferire l’altro. Non possiamo essere infantili, invidiosi, gelosi, succubi di un delirio di onnipotenza che distrugge ogni cosa e ci lascia indolenti e arroganti.

Il terzo messaggio

E poi c’è Zazu, il saputello di turno. Crede nella educazione, ma in quella un po’ rigida e un po’ bacchettona. Ce la mette tutta e lo farà fino alla fine. È quel grillo parlante del quale tutti abbiamo bisogno, quello che modera i facili entusiasmi, ci riporta con i piedi per terra e ci fa capire che la responsabilità va di pari passo con la libertà.

Terzo messaggio del Re Leone di Attendiamoci: noi adulti siamo ancora ancorati alla educazione del si e del no? Del si può e non si può? Del si deve o non si deve? Quale stile educativo può essere efficace per i giovani di oggi, feriti nelle relazioni, macinati dalla iper competitività, disintegrati dalla iper connettività. Forse dobbiamo parlarne insieme, specialmente in una città costantemente mortificata: c’è bisogno di riflessioni e azioni condivise sull’educazione.

Il quarto messaggio

Finalmente entra in scena Mufasa (il nome significa re). È il padre al quale Rafiki presenta il leoncino. È un re che ha potere in quanto serve, che riconosce il giusto ordine delle cose e provvede a che si rispetti. È un re che dà la vita e che rimane in vita, che guarda dalla vetta della rupe dei re, perché un re si deve far vedere, ci deve mettere la faccia. Che guarda dal basso delle valli dove i figli in pericolo vanno raggiunti, ma soprattutto che guarda dall’alto del cielo stellato, abitazione eterna di chi ama. È la presenza sempre presente, nonostante l’assenza. Lui trasforma le stelle da “palle di gas che bruciano a miliardi di chilometri di distanza da noi” (come dice Pumba) in “grandi Re del passato che sono lassù, che ci guardano e ci proteggono”. È bello essere guardati dal cielo!

Mufasa è il padre dimenticato quando il figlio rinuncia alla missione della vita, quando Simba dimentica la sua vocazione. È il padre dimenticato quando il figlio “vive meno di ciò che è”. È il padre che alimenta la memoria: “Ricordati chi sei. Tu sei mio figlio… e l’unico vero Re... Ricordati di quanto vali. Guarda dentro te stesso Simba. Tu sei molto di più di ciò che sei diventato. Ricordati quale è la tua responsabilità, devi prendere il tuo posto nel Cerchio della vita… Ricordati chi sei… Io sono fiero di te”.

Ecco un quarto messaggio: non dimentichiamo i nostri padri, quelli che sono in cielo. Educare i nostri figli a comprendere che, pur se siamo di passaggio, rimaniamo nel cielo stellato e nella “legge” del cuore. Lì sapranno ritrovare i nostri insegnamenti, quando saremo presenti in un’altra maniera. Lì ritroveranno la strada se, nel tempo con loro condiviso, l’avremo saputa tracciare e l’avremo percorsa mano nella mano.

Il quinto messaggio

Ma se il padre muove le corde della memoria e cura la ferita del senso di colpa, è Nala che dà ali ai piedi con l’energia dell’innamoramento. Nala (il cui nome significa dono) ci ricorda che libertà e responsabilità si declinano nella logica del servizio, nella circolarità del dono. Amare significa tornare, combattere con i demoni del passato, non rinunciare alla verità. Il ricordo del padre e la severità dell’amore di Nala sconvolgono l’allegra comitiva e si passa dall’hakuna matata, alla corresponsabilità che ogni amicizia vera esige. Insieme si può!

Ed ecco il quinto messaggio: insieme si può ma mossi dall’affetto, quello vero, dall’amicizia, quella che vince il disimpegno! Dobbiamo costruire strutture di amicizia, scuole di amicizia, comunità educanti all’amicizia.

Il sesto messaggio

E la storia diventa ritorno, contro ogni paura del passato, senso di colpa disimpegnante, contro ogni chiusura nella solitudine, anche quella accompagnata da “amici di solo divertimento”. Si ritorna, perché Rafiki ha detto bene: il Padre è presente; Zazu non aveva tutti i torti; Scar non può averla vinta… e poi c’è sempre una madre che aspetta: Sarabi, (il nome significa miraggio) la regina madre. Non si può tornare senza un miraggio. Solo il miraggio spinge oltre la stanchezza e l’arsura del cammino. Ma un miraggio che non illude, che spinge oltre il facile hakuna matata e la paura della desolazione. Il miraggio che madri, esperte di attesa, conoscono bene.

E questo è il sesto messaggio: dobbiamo alimentare un miraggio, una visione possibile, un’oasi dentro l’aridità. Una visione che educhi al visibile e al riconoscibile, anche nel deserto. Una visione che ridesti il cammino di una comunità cittadina spesso troppo inerte e rassegnata del desolato visibile urbano degradato.

Quando si chiude il sipario cosa resta del messaggio del Re Leone?

In un panorama di contemporanea fatica pandemica, in un contesto di guerra-dietro-l’angolo, il messaggio del Re Leone mette in crisi, soprattutto noi adulti. Chiamati ad essere un po’ come Rafiki, un po’ come Mufasa, a volte come Zazu, ci ritroviamo in un mondo in cui pare che il “cerchio della vita” si sia spezzato, dove le cicatrici si riaprono, dove sembra che non ci sia scampo.

Troppa velocità, poca introspezione, troppa fame di potere, poche relazioni autentiche. Logiche ostili per libertà fasulle e responsabilità tradite. Noi adulti cosa possiamo dire? Ci possiamo fermare solo a denunciare altri? A giudicare l’hakuna matata di combriccole di giovani che sembra non abbiano meglio da fare che organizzare risse e cedere all’aggressività? Cosa dobbiamo fare? Ci aiutano i personaggi adulti di questo musical, quelli buoni, quelli non sfregiati dal male, o non instupiditi dall’ingordigia (le iene). Rafiki, Musafa, Zazu, Sarabi hanno tanto da dirci, come la bellezza, il dolore, la tenerezza, la determinazione di chi sa accompagnare, ricordare, perdonare, credere, in una sola parola: “Attendere”.

Ci aiutano i personaggi giovani di questo musical: Pumba, Timon, Nala… che sanno accogliere, comprendere, consolare, che sanno mettersi insieme perché la vita, quella bella, è vivere-con; perché la vita, quella bella, è vivere-per. È un miraggio di speranza questo musical, che nei suoi tanti messaggi, ci lascia con la determinazione di continuare a camminare, anche nel deserto delle situazioni difficili, di continuare ad alimentare con la fatica quotidiana ogni azione educativa.


PER APPROFONDIRE: Adolescenti e “decision making”, nuova iniziativa di Attendiamoci


Si tratta di fare tanto, di far bene, di fare con amore. Come hanno annunciato questi giovani di Attendiamoci che, ancora una volta, ci hanno testimoniato che “tutto è possibile” per chi ha “visto vite cambiare”, per chi “ha veduto l’amore vincere”. Buon spettacolo a tutti, tante grazie a ciascuno.

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